Eccoci arrivati
al terzo articolo sul sistema pensionistico, con una breve panoramica del
secondo e del terzo pilastro, che abbiamo definito “tenue baluardo alla rovinosa implosione del sistema pensionistico
patrio”.
Considerato che la pensione obbligatoria non assicura, né assicurerà in futuro, un adeguato tenore di vita, i lavoratori possono (devono …) scegliere di destinare una parte del proprio risparmio alla costruzione di una rendita aggiuntiva, versando volontariamente dei contributi alle forme pensionistiche complementari. Le forme pensionistiche complementari si distinguono fra fondi pensione e piani pensionistici individuali (PIP), entrambi sottoposti alla vigilanza della COVIP.
I fondi pensione (istituiti da banche, assicurazioni, SGR e SIM) sono il secondo pilastro della previdenza e possono essere aperti o chiusi. Ai fondi aperti può iscriversi chiunque. Ai fondi chiusi possono iscriversi solo i lavoratori che appartengono a una determinata categoria (dipendenti di una particolare azienda, che svolgono un determinato tipo di lavoro o residenti in una particolare Regione); sono detti negoziali i fondi costituiti sulla base di un accordo tra datore di lavoro e sindacati o associazioni di categoria.
I PIP costituiscono il terzo pilastro della previdenza e si realizzano mediante polizze assicurative (contratti di assicurazione sulla vita a scopo previdenziale), a carattere individuale.
Gli elementi da considerare per scegliere se e come aderire alla previdenza
complementare sono:
- il tasso di sostituzione atteso, cioè il prevedibile rapporto tra l’importo della prima pensione obbligatoria che spetterà al momento della cessazione dell’attività lavorativa e l’importo dell’ultima retribuzione
- il trattamento fiscale del risparmio destinato alla previdenza rispetto a quello destinato ad altri tipi di investimento
- i possibili rendimenti finanziari dei contributi versati alla previdenza complementare rispetto a quelli che si possono attendere da altri investimenti e dal Trattamento di Fine Rapporto (TFR)
- le condizioni di utilizzo delle somme accumulate come TFR o presso i fondi
- le spese di gestione
- l’eventuale contributo del datore di lavoro in caso di adesione alla previdenza complementare.
Il risparmio versato a una forma pensionistica complementare è soggetto a
una tassazione, sinora più favorevole rispetto a tutte le altre forme di
investimento ma in procinto di perdere la sua peculiarità:
- le somme versate ai fondi o ai PIP fino all’importo di 5.164,56 euro all’anno non sono tassate; alle somme versate oltre tale limite si applicano le stesse aliquote con cui è tassata la retribuzione
- i rendimenti finanziari degli investimenti, sinora tassati all’11,5%, saranno soggetti ad una aliquota maggiorata al 20%
- le pensioni saranno tassate ad un’aliquota compresa tra il 9 e il 15%, in funzione di vari parametri, fra cui la permanenza nel fondo.
La maggioranza
dei paesi OCSE adotta il sistema EET,
con 3 grandi eccezioni: Danimarca, Svezia ed Italia; la regola EET è
semplice: Esenzione (sui
contributi versati), Esenzione (sui rendimenti dei fondi), Tassazione (sulla
pensione integrativa). Il sistema EET aumenta i vantaggi per il risparmiatore,
poiché i rendimenti annualmente realizzati sul “patrimonio previdenziale” sono
totalmente reinvestiti, e non ridotti dalla tassazione. Sarebbe meglio tassare
la prestazione finale (generalmente, con prestazioni annuali od infra-annuali),
nel contesto della tassazione del pensionato-contribuente. L’Italia ha recepito la direttiva UE 41/2003 con il d.lgs 28/2007, ma non applica lo schema
EET.
Riteniamo
particolarmente penalizzante la tassazione annuale dei rendimenti, tenuto conto
della natura previdenziale dello strumento; una penalizzazione ancor più “antipatica”
se si osserva che i “rendimenti” della forma di previdenza obbligatoria
pubblica non sono soggetti a tassazione, anno per anno. Ma la potenza del
legislatore fiscale è senza limiti: differenze di trattamento alla partenza,
durante il viaggio periglioso della creazione del “montante pensionistico”, all’incasso
della pensione.
Il TFR versato a una forma complementare (secondo pilastro) ed i versamenti
ai PIP (terzo pilastro) vengono investiti sui mercati finanziari dal gestore: quindi
possono aumentare o diminuire di valore secondo l’andamento degli investimenti
e secondo la linea di investimento (conservativa, bilanciata, aggressiva)
prescelta. La legge (DM 703/1996) limita la allocazione degli investimenti:
sino al 50% in azioni ed obbligazioni UE, USA, Canada e Giappone negoziate/i in
mercati regolamentati; sino al 20% in azioni ed obbligazioni negoziate/i in
mercati non regolamentati; sino al 5% in titoli non-OCSE.
Il legislatore italiano, nel suo accanimento farneticante e malaccorto, ha recentemente
previsto la possibilità che l’accantonamento
annuo del TFR possa essere dirottato, in parte, verso la “busta paga”; questa
misura avrà un impatto negativo sull’intero sistema complementare: ogni anno,
5.187 milioni di euro di accantonamenti da quote TFR dei dipendenti privati
sono diretti a forme di pensione complementare; una cifra che rappresenta il
43,5% di tutti i flussi verso il sistema previdenziale integrativo del 2013,
che sono stati 11.913 milioni; la percentuale sale al 63,4% (2.733 milioni su
totali 4.308 milioni) per i fondi pensione negoziali, che da soli hanno
assorbito il 36,2% dei flussi dell’anno. E’ di palmare evidenza che una
eventuale misura – come quella sottoposta dal governo in carica – che indirizzi
l’accantonamento annuo del TFR verso la “busta paga”, anche parzialmente,
avrebbe impatti negativi sull’intero sistema della previdenza complementare: un
settore che si vuole, da anni, favorire, ma che avanza a passi lenti, per cui
una misura come quella immaginata dal governo avrebbe l’effetto di uno “stop”
forse definitivo, se solo si osserva che dal 2007 i lavoratori che hanno
aderito al conferimento tacito del TFR ai fondi complementari sono stati
231.000, l’8% dei nuovi iscritti (dipendenti del settore privato) e solo il
3,7% dei 6.200.000 iscritti totali alle forme pensionistiche complementari.
Come da troppo tempo accade nel paese, la coperta è corta: tiri da una parte,
si scopre dall’altra.
La prestazione tipica di un fondo pensione è l’erogazione di una rendita
(pensione), a partire dal momento del pensionamento. E’ possibile ottenere una
liquidazione in capitale (in una unica soluzione) sino al 50% del montante
finale accumulato. La reversibilità della prestazione al coniuge sopravvissuto
è facoltativa ed opzionale, a fronte del pagamento di un costo addizionale,
annualmente corrisposto. La ragione è semplice: nella elaborazione attuariale
della previsione di trasformazione del capitale finale in rendita, il gestore
deve considerare un rischio di sopravvivenza doppio e riferito al
sottoscrittore ed al coniuge.
La
prestazione pensionistica sotto forma di rendita può prevedere diverse opzioni:
rendita semplice: è la rendita che viene pagata al
pensionato finché in vita; rendita
certa per un certo numero di anni e poi vitalizia; rendita reversibile; rendita con contro
assicurazione per la restituzione del montante residuale; rendita con
maggiorazione per perdita di autosufficienza (copertura Long Term Care, LTC).
Come quando si acquista una autovettura nuova, ogni optional, più o meno
essenziale e/o importante, ha un costo addizionale.
Anche e
specialmente in campo previdenziale “two is better than one, especially when
one probably means nothing…”
I fondi pensione hanno caratteristiche importanti:
sono individuali, e quindi personalizzabili; sono “cash” e rappresentano un
capitale, via via crescente, investibile e fruttifero; sono “incassabili” (sino
alla metà del capitale finale) e “trasformabili” in coperture assicurative (come
la LTC, importante in un’era di innalzamento della aspettativa di vita e di
concentrazione delle spese sanitarie negli ultimi anni di vita). Alcune di
queste caratteristiche sono, a nostro avviso, necessarie anche per la forma di
previdenza pubblica; il “trasferimento” non sarà però indolore o facile, ma diverrà
rapidamente materia di discussione e confronto per allineare il sistema
pubblico ai sistemi previdenziali di paesi “virtuosi” (si pensi all’Olanda).
In un successivo articolo affronteremo il confronto
fra diversi sistemi previdenziali adottati in paesi confrontabili, in ambito
europeo.
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