Dal 1.12.2014 i fondi di investimento potranno chiedere
la quotazione alla Borsa Italiana, seguendo esempio ed operatività di altri
mercati (in Germania sono quotati 3.000 fondi, a partire dal 2000; e così in
Olanda, Danimarca, Svizzera, Lussemburgo); gli emittenti, le società di
gestione SGR, potranno creare nuove classi di fondi “ad hoc” per la borsa,
favorendone la negoziazione sulla piattaforma unica di negoziazione di Borsa
Italiana; le offerte di vendita e di acquisto saranno fatte al NAV (Net Asset
Value), il valore patrimoniale delle quote, senza il “doppio prezzo acquisto e
vendita”. La scelta di creare una classe specifica di fondi per la borsa
eviterà problemi di calcolo delle commissioni dovute alle reti di distribuzione
e vendita: le SGR “girano” in media ai collocatori percentuali elevate degli
oneri di gestione, sino al 77,7%, per una media del sistema del 68% nel 2013
(era l’80% nel 2010). Ma la novità sembra andare contro interessi ed abitudini
delle reti di vendita: secondo PWC “la quotazione dei fondi comuni al momento,
considerando le regole che sono in vigore in Italia, non sia coerente con il
modello distributivo italiano che si basa su una forte presenza e un forte
ruolo delle reti distributive” dei promotori finanziari, che collocano il 25%
dei fondi comuni di investimento, sul mercato italiano. In termini concreti,
potrebbe esserci il rischio che la quotazione dei fondi comuni dia una
spallata, non da poco, all’industria delle reti dei promotori.
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