venerdì 7 novembre 2014

La stagnazione del secolo.



Una interpretazione convincente dello scenario di "secular stagnation" del mondo occidentale, ma non solo (Giappone docet), viene descritta in un recente articolo dell' Economist ("Secular stagnation. The long view") ed ha un nome semplice e preciso: "demography". L'evoluzione demografica dagli anni 50 ad oggi spiega la prolungata, ormai secolare (forse inarrestabile), evoluzione delle nostre economie, che sono passate da una crescita annua superiore al 4% del secondo dopoguerra ad una crescita inferiore al 2% (negativa, in Italia) degli ultimi anni.
L' "old age support ratio" indica il rapporto fra la popolazione in età lavorativa compresa fra i 20 ed i 64 anni, e la popolazione inattiva con età superiore ai 65 anni: negli USA, il rapporto era 6,97 nel 1950 (quasi 7 persone in età lavorativa per ogni pensionato), è sceso a 5,04 nel 1980 e 4,59 nel 2010 (la previsione è 2,53 nel 2050); in Germania, il rapporto, negli stessi anni, è passato da 6,26 a 3,68, ora è a 2,91 (sarà 1,54 nel 2050); l'Italia aveva un rapporto di 6,99 nel 1950, crollato a 4,21 nel 1980, sceso ancora a 3,00 nel 2010 e previsto a 1,46 nel 2050. 
I problemi sono molteplici: il costo di mantenimento (attraverso i trasferimenti pensionistici per periodo lunghi, superiori alle stime fatte al momento dell'assunzione dei pensionati) è elevato, e quel che è peggio è che la forza lavoro non cresce, né in percentuale né in valore assoluto. 
Ergo, l'economia va in stallo, in una rapida "decrescita infelicissima"; perché la crescita economica si regge, anche, su 2 pilastri demografici: (1) più lavoratori occupati, (2) che fanno il loro lavoro in modo più efficiente (e si chiama produttività).  

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