Una interpretazione convincente dello scenario di
"secular stagnation" del mondo occidentale, ma non solo (Giappone
docet), viene descritta in un recente articolo dell' Economist ("Secular
stagnation. The long view") ed ha un nome semplice e preciso:
"demography". L'evoluzione demografica dagli anni 50 ad oggi spiega
la prolungata, ormai secolare (forse inarrestabile), evoluzione delle nostre
economie, che sono passate da una crescita annua superiore al 4% del secondo
dopoguerra ad una crescita inferiore al 2% (negativa, in Italia) degli ultimi anni.
L'
"old age support ratio" indica il rapporto fra la popolazione in età
lavorativa compresa fra i 20 ed i 64 anni, e la popolazione inattiva con età
superiore ai 65 anni: negli USA, il rapporto era 6,97 nel 1950 (quasi 7 persone
in età lavorativa per ogni pensionato), è sceso a 5,04 nel 1980 e 4,59 nel 2010
(la previsione è 2,53 nel 2050); in Germania, il rapporto, negli stessi anni, è
passato da 6,26 a 3,68, ora è a 2,91 (sarà 1,54 nel 2050); l'Italia aveva un
rapporto di 6,99 nel 1950, crollato a 4,21 nel 1980, sceso ancora a 3,00 nel
2010 e previsto a 1,46 nel 2050.
I problemi sono molteplici: il costo di
mantenimento (attraverso i trasferimenti pensionistici per periodo lunghi,
superiori alle stime fatte al momento dell'assunzione dei pensionati) è
elevato, e quel che è peggio è che la forza lavoro non cresce, né in
percentuale né in valore assoluto.
Ergo, l'economia va in stallo, in una rapida
"decrescita infelicissima"; perché la crescita economica si regge,
anche, su 2 pilastri demografici: (1) più lavoratori occupati, (2) che fanno il
loro lavoro in modo più efficiente (e si chiama produttività).
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