Nel processo
decisionale che il governo italiano dovette affrontare nel prendere la
decisione se intervenire, o meno, in quella che fu la Prima Guerra Mondiale, si
ebbe una lunga dilazione che “”evidenziò le incertezze e le ambiguità della
politica estera italiana, e le molteplici suggestioni a cui essa ubbidiva. (…)
ciò contribuì ad accentuare l’intensità delle pressioni di diplomatici e uomini
di cultura, di rappresentanti delle varie forze economiche e politiche dei
paesi coinvolti in guerra, che da tempo vivevano in Italia, o che qui furono
appositamente inviati. Se gli inglesi limitarono le loro pressioni dirette nell’ambito
della sfera diplomatica, date le posizioni di forza che detenevano; se gli
austriaci cozzarono conto un’opposizione nella quale i motivi dell’irredentismo
si incrociavano con quelli delle aspirazioni balcaniche; francesi e tedeschi
non lesinarono mezzi e lusinghe di ogni specie per raggiungere i loro fini.
Francia e Germania disponevano ciascuna di numerosi agganci nell’economia non
meno che nella politica e nella cultura italiana: e su di essi fecero
abbondantemente leva. La campagna che prese subito il sopravvento fu quella
indirizzata a denunciare lo strapotere tedesco in Italia: si parlò allora, con
notevole spregiudicatezza e indubbia abilità, di “invasione”, di “conquista”
della penisola attraverso “l’oro di Berlino”, di indilazionabile riaffermazione
della sovranità e dell’indipendenza contro il predominio della grande alleata,
ponendo l’accento su temi che, facendo leva sul sentimento e sul prestigio
nazionale, non potevano non trovare facile ascolto e udienza nella situazione
di crisi e di malessere che travagliava da tempo l’Italia. Recenti ricerche
hanno dimostrato quanto fosse legittima la richiesta di von Bulow che dalla
pubblicazione dei documenti diplomatici tedeschi fossero esclusi quelli
concernenti l’Italia, tanti furono i giornali e gli uomini politici oggetto
della corruzione tedesca. Ma è indubbio che i francesi non furono da meno, e
seppero anzi trovare vie meno dispendiose e più efficaci, senza disperdersi in
un meccanico attivismo, giocando all’offensiva, puntando sull’irredentismo e
sulla tradizionale opposizione del mondo latino a quello germanico, insistendo
sulla pesantezze e la pericolosità del vassallaggio verso un paese che
dimostrava giorno dopo giorno, nella condotta della guerra, di non esitare a
calpestare principi, ideali e patti pur di raggiungere i propri fini di
espansione di potenza. Otto Joel poteva con tutta tranquillità ricordare,
ancora nel marzo del 1916, che la Banca commerciale, di cui era amministratore
delegato, si era prefissa il “solo compito … di fruire di ogni via legittima
per rinforzare ed accrescere sempre più l’economia nazionale e renderla viepiù autonoma”,
e che anche recentemente – si trattasse della Libia, dell’Anatolia o dell’Albania
– essa aveva guardato più agli interessi del paese in cui operava che non a
quelli della Germania, ogniqualvolta essi – ed era accaduto abbastanza spesso –
si erano trovati in conflitto. Ma nella Banca commerciale, nel controllo e
nella direzione che essa esercitava su tanta parte del mondo finanziario e
industriale italiano, era facile identificare – magari ad arte – la causa
principale del “male oscuro” che affliggeva l’economia italiana e che la neutralità,
all’inizio, aggravò: “l’emissario dello straniero” sul suolo nazionale. Di ciò
seppero avvalersi quei gruppi industriali – cantieristici e siderurgici soprattutto
– che di recente avevano contribuito alla fondazione della Banca italiana di
sconto, in cui la presenza diretta e indiretta degli ambienti francesi era
forte, e che si poneva come decisa antagonista di tutto un mondo cresciuto alla’ombra
della guida e della protezione tedesca” (…) “riprova che il mito della
fraternità delle nazioni latine, e la sostanzia dei vincoli massonici (la
scelta “intesista” da parte delle logge massoniche fu assai pronta e
decisamente maggioritaria) venivano appuntandosi, oltre che in direzione della “guerra
democratica”, verso un preciso obiettivo di politica interna, e cioè la
demolizione del sistema giolittiano"".
Storia d’Italia. Dall’Unità ad oggi. Libro
11. Lo stato liberale, pagine 1966-1968. Einaudi/IlSole24Ore, 2005.
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