“”Tutti i dati quantitativi che si posseggono relativamente
alla consistenza numerica della burocrazia dello Stato unitario indicano una
sostanziale tendenza alla stabilità globale rispetto alla somma del personale
amministrativo degli antichi Stati. Comunque, i circa 87.000 dipendenti di
questi ultimi salirono a 96.000 nel primo ventennio di vita dello Stato
italiano, soprattutto attraverso la crescita di tre particolari settori dell’amministrazione:
la guerra e, in misura ancora maggiore, la posta e l’istruzione. (…) Ci
troviamo di fronte (…) ad uno Stato le cui funzioni sono contenute nei termini
essenziali, ben lontani da quella crescita della burocrazia che comincerà a
caratterizzare lo Stato con la fine degli anni ’80; la fase “piemontese” vide
una presenza ancora contenuta della burocrazia, perché essa era espressione e rispecchiamento
di un ceto politico di ristretta composizione sociale, che si affidava
volentieri ai quadri provati e fedeli dell’antica monarchia sabauda intorno ai
quali organizzare i funzionari reduci dall’apparato degli altri Stati
preunitari. L’ampliamento dell’organico amministrativo e la “meridionalizzazione”
delle sue componenti, che prenderà corpo con Crispi e si svilupperà con
Giolitti, non sarà soltanto il frutto di un incremento dell’intervento statale,
ma anche di un tentativo di conferire più ampie basi sociali all’ulteriore
rafforzamento dello Stato, e in particolare del potere esecutivo.””
Storia
d’Italia. Dall’Unità a oggi. Libro 11. Lo stato liberale. Pg. 1694-1695. Einaudi/Il
Sole24ore, 2005.
Nessun commento:
Posta un commento