mercoledì 18 novembre 2015

Il leone, l’antilope ed i fondi di private equity.



I fondi di private equity (PE) sono avvicinabili da investitori istituzionali (assicurazioni, banche di investimento, fondi pensione), meno da investitori “retail”, comunque in aumento (specie nei paesi anglosassoni); nell’esperienza USA (il mercato dove si sono sviluppati per primi e dove sono cresciuti in modo esponenziale, superando ampiamente il migliaio di PE), esso sono definiti come investimenti a lungo termine, nei fatti sono a lunghissimo termine, spesso oltre i 14 anni, elemento che – insieme al fatto di non essere facilmente liquidabili – ne limita l’attrattività per gli investitori. I principali investitori sono i c.d. “general partners” (GP), i fondatori e gestori dei PE, responsabili della scelta degli investimenti, che detengono una piccola quota dei fondi, ma in effetti ne sono i “dominus” avendone la completa responsabilità di gestione; ed i “limited partners” (LP), gli investitori, che hanno un grosso potere, spesso sottovalutato: investire o meno, e liquidare (vendere le quote dei PE posseduti). Attrarre e mantenere (contenti e ben remunerati) i LP è un compito essenziale e vitale per i GP dei PE; non essendo quotati, la trasparenza sui PE, la composizione dei loro portafogli di investimento (singole imprese a capitale privato), l’assenza di dati comparabili fra i vari fondi di PE pongono i LP dinanzi al problema di scegliere “fior da fiore” fra i vari gestori di PE, attività che richiede crescenti competenze di “portfolio selection & allocation”, disponibili solo per investitori LP con rilevanti masse finanziarie da investire; d’altro canto, i GP si trovano ad essere in qualche modo facilitati nel loro compito di mantenere i LP fedeli ai loro fondi, proprio per la mancanza di una comparazione con i propri concorrenti. 
Ogni giorno, nella savana, un leone ed una antilope si svegliano ed hanno interessi solo in parte simili, come racconta la nota storiella.


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