I
fondi di private equity (PE) sono avvicinabili da investitori istituzionali
(assicurazioni, banche di investimento, fondi pensione), meno da investitori “retail”,
comunque in aumento (specie nei paesi anglosassoni); nell’esperienza USA (il
mercato dove si sono sviluppati per primi e dove sono cresciuti in modo
esponenziale, superando ampiamente il migliaio di PE), esso sono definiti come
investimenti a lungo termine, nei fatti sono a lunghissimo termine, spesso
oltre i 14 anni, elemento che – insieme al fatto di non essere facilmente
liquidabili – ne limita l’attrattività per gli investitori. I principali
investitori sono i c.d. “general partners” (GP), i fondatori e gestori dei PE,
responsabili della scelta degli investimenti, che detengono una piccola quota
dei fondi, ma in effetti ne sono i “dominus” avendone la completa
responsabilità di gestione; ed i “limited partners” (LP), gli investitori, che
hanno un grosso potere, spesso sottovalutato: investire o meno, e liquidare
(vendere le quote dei PE posseduti). Attrarre e mantenere (contenti e ben
remunerati) i LP è un compito essenziale e vitale per i GP dei PE; non essendo
quotati, la trasparenza sui PE, la composizione dei loro portafogli di
investimento (singole imprese a capitale privato), l’assenza di dati
comparabili fra i vari fondi di PE pongono i LP dinanzi al problema di
scegliere “fior da fiore” fra i vari gestori di PE, attività che richiede
crescenti competenze di “portfolio selection & allocation”, disponibili
solo per investitori LP con rilevanti masse finanziarie da investire; d’altro
canto, i GP si trovano ad essere in qualche modo facilitati nel loro compito di
mantenere i LP fedeli ai loro fondi, proprio per la mancanza di una
comparazione con i propri concorrenti.
Ogni giorno, nella savana, un leone ed
una antilope si svegliano ed hanno interessi solo in parte simili, come
racconta la nota storiella.
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