Un estratto di questo articolo è stato pubblicato nella rubrica #IlGraffio su AdviseOnlyBlog in data 18.11.2015.
Gli usuali
criteri di valutazione di impresa
(DCF Discounted Cash Flow, P/E Prezzo/Utile, comparable,…) non sono facilmente
applicabili alle imprese innovative,
le c.d. start-up; vediamo il “perché”
e cerchiamo di chiarire come si possa valutare
una start-up innovativa, sia dal punto di vista dell’imprenditore, che sogna di
ripetere il successo di Facebook (capitalizzazione
post-IPO di 100 miliardi US$) e di tante “Unicorn”, le start-up con una valutazione superiore al
miliardo US$; che dal punto di vista dell’investitore, che cerca un ritorno
sull’investimento altrettanto “stellare”.
Perché le start-up sono “diverse”?
Le star-up
a) non hanno una “storia” da mettere sul
tavolo di una trattativa: molto imprese non fanno utili, e spesso non lo
faranno per molti anni; basano la ricerca di capitali sulla “forza” di una idea
che deve ancora essere messa alla prova del mercato; hanno come “elemento
distintivo” la capacità e l’intelligenza dei fondatori, che non sono ancora
imprenditori con una esperienza “da vendere”; il loro “asset” più importante è quindi
“intangibile”: valorizzazione del know-how, brevetti, e solo successivamente
marchi e nomi commerciali.
b) hanno spesso una vita breve: una “buona
idea” di oggi potrebbe essere superata e resa obsoleta da una nuova “buona idea”
domani: i cicli di vita dei prodotti high-tech, in particolare, sono sempre più
brevi, spesso durano mesi e non anni; un investitore “avveduto” dovrà tenerne
conto nell’ analizzare l’investimento (e sicuramente nella fase iniziale e
cruciale della start-up).
c) richiedono investimenti spesso elevati e
per lunghi anni, prima di vederne i risultati.
d) presentano un elevato rischio di
insuccesso, superiore a quello di società esistenti e sul mercato da tempo; la “mortalità”
delle start-up è superiore al 50% nei primi 2 anni di vita.
e) sono “visionarie”: immaginano uno rapido sviluppo ed una forte
crescita basata su assunzioni, per loro natura “tutte da dimostrare nei fatti
(futuri)”.
f)
hanno
una componente “intangibile” elevata, difficile da “scalare” (la possibilità di
moltiplicarsi ed aggiungere nuovi prodotti/servizi/utilizzi/mercati), legata
alle persone che l’hanno sviluppata.
sono quindi intrinsecamente
diverse e quando le si analizza ci si trova a considerare, in misura
prevalente, criteri “inusuali” come il numero di utenti (telefonia mobile,
social network), pagine visitate del sito internet, altri criteri “proxy”.
Tutto questo
porta a risultati “non convenzionali”: multipli spesso “infiniti” di risultati
inesistenti se non negativi; valori “da visionari” che solo in caso di grande
successo commerciali daranno ragione, a posteriori, a chi ci ha creduto e vi ha
investito.
Alla ricerca di capitale.
Il fondatore
parte alla ricerca di capitale avendo un “numero” in mente, spesso legato a
casi di successo (le Facebook ed Uber di questo mondo innovativo e “challenging”),
senza tener conto che a fronte di 1 società di successo ci sono tante società
che non ce l’hanno fatta; lui/lei non ne ha evidenza quantitativa, ma l’investitore
a cui si rivolge spesso sì, e comunque questi conosce il mercato dei capitali
meglio di chi va a cercare nuovi capitali.
L’investitore
interessato all’investimento in una start-up, quindi iniziale, rientra nelle
categorie ormai definite come “business angel”, “start-upper”, “seed capital”;
in ogni caso, egli/ella sarà molto interessato a capire, e quindi valutare,
aspetti quali:
g) per quanto tempo la start-up non farà
utile e quindi richiederà il sostegno finanziario da parte degli azionisti;
h) quanti investimenti aggiuntivi saranno
richiesti agli investitori, nel prossimo futuro;
i)
quanto
“forte” è il management rappresentato dal fondatore ( o fondatori) e quali sono
le competenze distintive, che ne possono fare il caso di successo;
j)
quanto
“difendibile” sono idea e business della start-up.
Negli USA, l’investitore
si “protegge” inserendo nel contratto di finanziamento clausole (c.d. “backroom
agreements”) quali:
“senior
liquidation preference”, con cui all’investitore viene garantito in via
preventiva il rimborso di quanto investito (maggiorato di un tasso di
rendimento prefissato) in caso di IPO o vendita della società;
“down side protection”
o “free additional shares”: in caso la valutazione, al momento dell’IPO, fosse
inferiore a quanto pre-concordato fra investitore e società, l’investitore
riceverà una certa quantità addizionale di azioni, senza ulteriore esborso di
denaro; la stessa clausola si applica in caso la società debba far ricorso ad
ulteriore capitale, nel caso la valutazione fosse inferiore a quella
pre-concordata; questa clausola riduce per l’investitore, spesso in modo
sostanziale, il rischio di perdita di valore della società.
Con tali
clausole, l’investitore cerca di trovare un punto di equilibrio fra la (elevata)
valutazione richiesta dal fondatore ed il rischio sostenuto facendo l’investimento;
generalmente, tali clausole non sono rese note a terzi, e quindi al mercato ed
ai possibili ulteriori investitori (come nel caso di IPO).
La prima “partita” si gioca quindi fra i fondatori ed i primi investitori, che
cercano un privilegio rispetto al mercato, che arriverà solo dopo, con le sue generose valutazioni, ed i suoi giudizi
e con repentini crolli del valore, se le start-up non riescono a mantenere le promesse,
spesso fantastiche, ma irreali (come gli unicorni).
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