La lezione del postino giapponese.
10 anni dopo il referendum che
ne approvò la dismissione, il governo del Sol Levante vede giungere a
realizzazione l’IPO delle Poste giapponesi, la cui quotazione dell’11% partirà
dal 4 novembre prossimo, con un incasso previsto pari a 10,5 miliardi di euro;
una operazione che si confronta con quella italiana mostrando significative
differenze: Poste Italiane ha una capitalizzazione di 8,8 miliardi di euro,
quelle giapponesi 100 miliardi di euro; Poste ha venduto il 40% circa, il
governo giapponese l’11%. Preliminarmente, il governo nipponico ha separato le
Poste fra holding (cui resta l’attività di spedizione e consegna della posta,
la meno remunerativa: 24.000 uffici per servire una popolazione in diminuzione,
in un contesto di forte concorrenza dai privati), Japan Post Bank e Japan Post
Assurance; una netta separazione che mette in chiaro le diverse “mission” e
consente chiarezza nel perseguire i diversi obiettivi aziendali. Chiaro anche
come i fondi così raccolti saranno utilizzati: serviranno, in larga parte, per
sostenere i costi della ricostruzione delle zone colpite dallo tsunami del
2011.
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