Dal 2007 al 2014 la produzione
metal-meccanica italiana ha perso il 29,4% dei volumi ed ¼ della sua capacità
produttiva; il valore aggiunto è passato da 120 miliardi a 98 miliardi di euro;
nello stesso periodo la manifattura in generale ha perso il 23,8%; la caduta della
metal-meccanica è legata al crollo della domanda interna per beni di
investimento (macchine ed attrezzature).
Nella UE il declino dei volumi è stato
un più contenuto 9,4%: Germania, Francia e persino la quasi de-industrializzata
Inghilterra hanno tenuto meglio del Belpaese. Il tutto è evidente nella perdita
di quote di mercato legate alle esportazioni, in un periodo in cui la domanda
mondiale di prodotti metalmeccanici è cresciuta del 23,5% (in dollari USA), le
esportazioni cinesi sono cresciute dell’89,4%, quelle tedesche del 12%, quelle
USA dell’8,2%.
La perdita di competitività del sistema-Italia è palese: il
CLUP, costo del lavoro per unità di prodotto, è cresciuto del 34,7% nel periodo
considerato contro il – 0,2% della Germania ed il -5,4% della Gran Bretagna;
come conseguenza, è calata l’occupazione: - 252.600 occupati pari ad un -13,1% (erano
1.900.000 gli occupati nel 2007), mentre ha tenuto la dinamica salariale (+23,6%).
Un quadro a colori sempre più foschi.
L’ottimismo largamente sbandierato è quindi
assai fuori luogo: fare un duro esame di coscienza è il primo, necessario passo
collettivo, cui far seguire un “tirarsi su le maniche e tornare ad un duro
lavoro, qualsiasi cosa significhi”.
Nessun commento:
Posta un commento