Negli USA, negli anni
Ottanta il 10% degli utili aziendali delle società quotate veniva utilizzato
per riacquistare azioni (“buyback”); la percentuale è cresciuta al 23% negli anni
Novanta ed al 47% dell’ultimo esercizio; nel 2014, la somma di dividendi
distribuiti e riacquisto azioni ha assorbito l’85% degli utili aziendale delle
società quotate.
Per alcuni questo “trend” è un segno della caduta degli
investimenti in attività e progetti futuri; per altri, è un segno del crescente
peso di settori che generano alti ritorni aziendali a fronte di investimenti di
capitale contenuti in attività che consentono quindi una forte distribuzione di
dividendi, non richiedendo flussi di investimento importanti. Prima della
riforma apportata dalla SEC al “buyback” la distribuzione di liquidità agli
azionisti era fatta al 90% tramite distribuzione di dividendi; da tale data è
aumentato il ricorso al riacquisto di azioni, un mezzo più elastico per la gestione
delle eccedenze di cassa.
L’evidenza empirica negli USA mostra come gli
investimenti sono cresciuti al 2,7% annuo (superiore al 2,4% della crescita
annua del PIL), e che negli ultimi 25 anni gli investimenti annui siano 1,7
volte il valore degli ammortamenti ammessi (erano 1,6 volte nel decennio
precedente).
Inoltre, il crescente peso nell’economia USA di imprese che
operano in settori dove la proprietà intellettuale (brevetti, software,..) è
rilevante (“soft economy”) richiede livelli di investimenti inferiori ai
settori “hard economy”.
La “soft economy” oggi genera il 32% degli utili
aziendali contro il 13% nel 1989, ed assorbe l’11% degli investimenti annui;
quella “hard economy” nello stesso periodo è passata dal 52% al 26% degli
utili, e continua ad assorbire il 62% degli investimenti annui.
Le imprese USA
investono sempre più in attività intellettuali, e continueranno a farlo.
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