venerdì 22 maggio 2015

La borghesia verso la catastrofe: gli anni prima della Grande Guerra, addio alla "belle epoque".



“” Ma l’età del trionfo borghese poteva fiorire, quando ampie fasce della borghesia si impegnavano così poco nella produzione di ricchezza, e si allontanavano tanto e così rapidamente dall’etica puritana, dai valori del lavoro e dell’impegno, dell’accumulazione a base di astinenza, dovere e rigore morale, che le avevano dato la sua identità, il suo orgoglio e la sua enorme energia? (…) il timore – anzi la vergogna – di un futuro di parassiti assillava la borghesia. Il tempo libero, la cultura, le comodità erano ottime cose. (…) Ma la classe che aveva fatto suo il secolo XIX non stava sfuggendo al suo destino storico? Come poteva, se pur poteva, accordare i valori del suo passato e del suo presente? (…) C’erano senza dubbio nelle regioni sviluppate d’Europa una quantità di uomini d’affari e di professionisti che si sentivano ancora il vento in poppa, anche se era sempre più difficile ignorare ciò che accadeva a due degli alberi destinati tradizionalmente a reggere le vele: l’azienda gestita dal proprietario e la famiglia “maschio centrica” del proprietario medesimo. Certo la gestione delle grandi aziende mediante dirigenti stipendiati, e la perdita di indipendenza di imprenditori un tempo sovrani grazie ai “cartelli”, era ancora (…) “qualcosa di molto lontano dal socialismo”. (…) Ciò che rendeva il problema particolarmente acuto, almeno in Europa, e dissolveva i saldi contorni della borghesia ottocentistica, era la crisi di quella che era stata per lungo tempo (…) l’ideologia in cui la borghesia si identificava. La borghesia aveva creduto non solo nell’individualismo, nella rispettabilità e nella proprietà, ma anche nel progresso, nelle riforme e in un moderato liberalismo. Nella perpetua lotta politica fra gli strati superiori delle società ottocentesche, fra il “partito del movimento” o del “progresso” e il “partito dell’ordine”, le classi medie erano state indiscutibilmente, nella grande maggioranza, dalla parte del movimento, pur non essendo affatto indifferenti all’ordine. Tuttavia (…) progresso, riforme e liberalismo erano in crisi. Il progresso scientifico e tecnico, naturalmente, rimaneva indiscusso. Il progresso economico sembrava ancora una cosa abbastanza certa, anche se generava movimenti operai guidati di solito da pericolosi sovversivi. Il progresso politico (…) era un concetto molto più problematico alla luce della democrazia. (…) Mentre l’Europa borghese si avviava in un crescente benessere verso la catastrofe, osserviamo il curioso fenomeno di una borghesia, o almeno di una parte significativa dei suoi giovani e dei suoi intellettuali, che si tuffa volontariamente e addirittura con entusiasmo nell’abisso. (…) Un libro autorevole sulla storia britannica di quegli anni l’ha chiamata “la strana morte dell’Inghilterra liberale”. Si potrebbe estendere il tutolo a tutta l’Europa occidentale. Fra gli agi materiali di un’esistenza da poco ingentilita, le classi medie d’Europa erano a disagio. (…) Avevano perduto la loro missione storica. I canti di lode più sentita e incondizionata per i benefici della ragione, scienza, educazione, illuminazione, libertà, democrazia e progresso dell’umanità, cose che un tempo la borghesia era stata fiera di rappresentare, venivano adesso (…) da gente la cui formazione intellettuale apparteneva ad un’età precedente, e non aveva tenuto il passo con i tempi. (…) Guardando indietro e avanti, gli intellettuali, i giovani, i politici delle classi borghesi non erano affatto convinti che tutto andasse o sarebbe andato per il meglio.””



Eric J. Hobsbawn, “L’età degli Imperi. 1875-1914”, Oscar Mondadori, 1996, pagg. 215-221

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