giovedì 28 maggio 2015

Ma quale congiura degli armaioli ...



“” Mentre solo alcuni civili capivano il carattere catastrofico di una guerra futura, gli incomprensivi governi si tuffavano  con entusiasmo nella gara per procurarsi armamenti la cui novità tecnologica avrebbe assicurato quel carattere catastrofico. La tecnologia dell’uccidere, già in via di industrializzazione alla metà del secolo progredì straordinariamente nel 1880-90, grazie non solo alla rivoluzionaria velocità e potenza di fuoco delle armi leggere e dell’artiglieria, ma anche alla trasformazione delle navi da guerra mediante motori a turbina molto più efficienti, piastre di corazza più efficaci, e capacità di trasportare un numero molto maggiore di cannoni (…); Di conseguenza i preparativi di guerra diventarono enormemente più costosi, tanto più che gli Stati facevano a gara per superarsi a vicenda, o almeno per non restare indietro. 
Questa corsa agli armamenti cominciò in sordina nel 1885-90 e si accelerò nel nuovo secolo, in particolare negli ultimi anni prima della guerra. Le spese militari britanniche rimasero stabili nel 1870-90, sia come percentuale del bilancio totale sia nel rapporto pro capite con la popolazione. Ma passarono da 32 milioni di sterline nel 1887 a 44,1 milioni nel 1898-99 e a oltre 77 milioni nel 1913-14. E fu com’è ovvio la marina, l’ala ad alta tecnologia delle forze armate, corrispondente al settore missilistico dell’odierna spesa militare, quella che crebbe più vistosamente. Nel 1885 la marina britannica costava allo Stato 11 milioni di sterline, lo stesso ordine di grandezza del 1960. Nel 1913-14 il suo costo era più che quadruplicato. Frattanto la spesa navale tedesca aumentò in misura anche maggiore: da 90 milioni di marchi all’anno intorno al 1895 a quasi 400 milioni. 
Queste spese enormi richiedevano tasse più alte o un indebitamento inflazionistico, o entrambe le cose. Ma una conseguenza altrettanto ovvia, anche se spesso trascurata, fu che esse resero la morte, per le varie patrie, un sottoprodotto della grande industria. (…) La simbiosi di guerra e produzione bellica trasformò inevitabilmente i rapporti fra governo ed industria: infatti, (…) “essendo la guerra diventata un ramo della grande industria … la grande industria … è diventata una necessità politica”. 
E viceversa lo Stato diventò indispensabile per certi settori industriali: perché chi, se non il governo, forniva clienti alle fabbriche d’armi? 
La produzione di questa merce non era determinata dal mercato, bensì dall’incessante gara dei governi per assicurarsi una provvista adeguata delle armi più progredite e quindi più efficienti. Per i di più i governi, al di là della produzione effettiva, avevano bisogno che l’industria, all’evenienza, avesse la capacità di produrre armi nella quantità richiesta in tempo di guerra: dovevano, cioè, provvedere perché l’industria mantenesse una capacità di gran lunga superiore alle esigenze di pace. In un modo o nell’altro i governi erano quindi costretti a garantire l’esistenza di potenti industrie nazionali degli armamenti, a sostenere buona parte dei loro costi di sviluppo tecnico, e a far sì che esse fossero redditizie. 
In altre parole, dovevano proteggere queste industrie dalle bufere che minacciavano i vascelli dell’impresa capitalistica veleggianti nei mari imprevedibili del libero mercato e della libera concorrenza. Gli Stati avrebbero potuto naturalmente impegnarsi direttamente nella produzione di armamenti, e così in realtà facevano da tempo. Ma questo fu proprio il momento in cui i governi – o almeno quello liberale britannico – preferirono accordarsi con l’industria privata. Nel 1880-90 i produttori privati di armamenti ebbero più di un terzo degli appalti di forniture per le forze armate, nel 1890-1900 il 46 per cento, nel 1900-10 il 60; e il governo era pronto a garantire loro i due terzi. Non fa meraviglia che le ditte di armamenti fossero o entrassero a far parte dei giganti dell’industria: guerra e concentrazione capitalistica andavano di pari passo. In Germani Krupp, il re dei cannoni, aveva 16.000 dipendenti nel 1873, 24.000 intorno al 1890, 45.000 intorno al 1900, e quasi 70.000 nel 1912, quando dai suoi stabilimenti uscì il cinquanta millesimo dei famosi cannoni Krupp. In Inghilterra i 12.000 uomini impiegati da Armstrong e Whitworth nel loro stabilimento principale di Newcastle erano saliti nel 1914 a 20.000, pari a oltre il 40 per cento dei metalmeccanici dell’intera regione del Tyne; senza contare le 1.500 ditte minori che vivevano con i subappalti di Armstrong, e che facevano anch’esse buoni affari. Come l’odierno “complesso militare-industriale” degli Stati Uniti, queste gigantesche concentrazioni industriali non sarebbero esistite senza la corsa agli armamenti dei governi. 
Si è quindi tentati di fare di questi “mercanti di morte” (…) i responsabili della "guerra dell’acciaio e dell’oro”(…). 
Non era logico che l’industria delle armi stimolasse la corsa agli armamenti, se necessario inventando inferiorità militari nazionali o “punti deboli”, eliminabili con appalti lucrosi? (…) 
E tuttavia non possiamo spiegare la guerra mondiale con una congiura degli armaioli, anche se i tecnici facevano del loro meglio per convincere generali e ammiragli, più esperti di parate militari che di scienza, che tutto era perduto se essi non ordinavano il cannone o la corazzata ultimo modello. 
Certo l’accumulo di armamenti, giunto a proporzioni paurose nell’ultimo quinquennio prima del 1914, rese la situazione più esplosiva. 
Certo venne il momento, almeno nell’estate 1914, in cui non fu più possibile innestare la retromarcia alla pesante macchina della mobilitazione delle forze di morte. 
Ma a trascinare l’Europa in guerra non fu la gara degli armamenti in quanto tale, bensì la situazione internazionale che aveva scatenato quella gara fra le potenze europee.””



Eric Hobsbawm, “L’età degli Imperi. 1875-1914”, Oscar Mondadori, 1996, pagg. 350-353

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