Eccesso di capacità nello shipping, con “overbook” di nuove navi
container; l’effetto è un aumento di debiti, che per gli armatori italiani
hanno raggiunto i 13 miliardi di US$: “”oggi circa la metà delle società
armatoriali italiane sono in ristrutturazione, ossia più di 20 aziende”;
“questa situazione dipende anche dal fatto che la flotta nazionale ha avuto una
forte crescita tra il 2002 ed il 2009, con navi pagate, nel momento del boom
dei noli, a prezzi molto alti e con leve finanziarie spesso superiori all’80%.
Navi che oggi valgono la metà e che si portano dietro un alto debito”. Fondi di
private equity, entrati negli anni del boom, sono oggi delusi dallo shipping,
anche se contano solo per il 17% dei capitali forniti. Hedge funds, sui mercati
internazionali, hanno rilevato crediti bancari (le banche hanno rapidamente
ridotto la esposizione creditizia anche nello shipping) ed assets dei private
equity, a prezzo scontato, prevalentemente con l’obiettivo di “fare lo
spezzatino” confidando di lucrare attraverso la dismissione, quindi la
rivendita, di assets (navi); ma i prezzi attuali “ingessano” il settore, che
sta alla fonda.
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