lunedì 18 maggio 2015

Si fa presto a dire di equity …



Un estratto di questo articolo è stato pubblicato nella rubrica #IlGraffio in data 18 maggio 2015.



Nel mondo, ogni anno si raccolgono 3 miliardi di dollari per finanziare le “start-up”: un fenomeno in forte crescita perché è in forte crescita la voglia di fare impresa da parte di giovani (e non solo giovani) che vogliono misurarsi con il posto più bello che c’è: il mondo dei beni e dei servizi reali, la competizione ad armi pari, il confronto con chi corre la tua stessa corsa.

Ed in Italia che succede?

Nel 2013, la Consob ha emesso il regolamento sull’ “equity crowdfunding”, la raccolta on-line di capitale destinato al sostegno delle nuove iniziative innovative, le “start-up”; all’epoca vennero indicate in quasi 4.000 le società potenzialmente interessate. Le piattaforme autorizzate sono 15, ma solo 6 risultano attive; i progetti messi sui portali sono 22, ma solo 4 sono arrivati alla fine dell’iter, con una raccolta complessiva di 1,3 milioni (sui 7,4 milioni inizialmente richiesti).
Se guardiamo al numero di progetti finanziati dal “crowdfunding”, questi sono 40 in Italia (ottavo posto in Europa), contro i 6.234 degli USA (primo posto) e gli  897 in UK (secondo), due paesi dove non vi sono regolamenti stilati da Authority, ma dove la regoletta è “put your money where your mouth is”: ci devi credere.
L’Italia è stato il primo paese a “regolare” l’equity crowdfunding (una norma che possiamo definire sufficientemente trasparente e “pro-business”: il problema non è quindi, per una volta, nella astrusità legislativa) che non decolla: è possibile identificarne le cause principali?
Sul fronte dell’offerta: troppe piattaforme, dispersione delle competenze, forse limitate competenze.
Sul fronte dei potenziali investitori: difficoltà di comprendere il “business”; la ricerca di equity crowdfunding viene dopo i “business angel” e prima dei “seed venture capital”: uno spazio che sembra privo di investitori interessati/interessabili; probabilmente, difficoltà di vedere la “way-out” di investimenti che a fronte di un potenziale tutto ancora da sviluppare presentano rischi considerati superiori al potenziale stesso da parte degli investitori; i “numeri” delle proposte sono tutti da valutare, e l’incertezza sul fronte domestico ha sicuramente il suo peso.
Sul fronte della domanda: le iniziative sono “sostenibili”? sono ben sostenute da business plan e governance coerenti con gli obiettivi dichiarati?
Infine, sul fronte degli “advisors”, che spesso sono gli stessi portali: un piccolo esame di coscienza per riflettere se ci sono le competenze e le esperienze adatte a portare a compimento i progetti.

Nessun commento:

Posta un commento