In Europa, l’economia che ruota intorno al mare è ricca di dati e di
fosforo: un giro d’affari stimato di 177.900 milioni di euro, per il 38%
generato dai trasporti marittimi (che impiegano 520.300 marittimi), per il 29%
generato nel turismo marittimo (che occupa 1.615.000 persone), ed a seguire
pescherecci col 13% del giro d’affari (e 732.200 marinai): in totale, quasi
3.400.000 persone che vivono sul mare e col mare, in Mediterraneo, in
Atlantico, Mare del Nord, Mar Baltico e Mar Nero. I governi puntano sempre più
l’attenzione su quanto possa essere “pescato” in termini di opportunità
economiche e possibilità di sviluppo, se solo si pensa che il 60% dell’umanità
vive lungo il mare od entro 100 chilometri dalla costa, risultando quindi
direttamente interessati e toccati su quanto avviene, o non avviene, lungo le
coste ed al largo di esse. Una spinta a quella che viene definita “blue
economy”, l’economia del mare, fatta di pesce pescato ed allevato, ma anche di
sfruttamento di maree, correnti, venti entro ed oltre le zone economiche di
pertinenza dei singoli stati, quindi oltre le 200 miglia: un “trend” cavalcato
anche dall’industria farmaceutica, una volta scoperto che il materiale genetico
di origine marina ha proprietà anti-cancro centinaia di volte superiore a
quello disponibile sulla superficie, che ha portato ad una crescita annua del
12% nella registrazione di brevetti basati su formulazioni a base di materiale
marino.
Ventimila leghe sotto i mari diventerà realtà?
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