lunedì 11 maggio 2015

Mini-bond: di nome ed anche di fatto?




Questo articolo è stato pubblicato nella rubrica #IlGraffio su AdviseOnlyBlog in data 11 maggio 2015.
 


Previsti dall’art 32 del Decreto Sviluppo del luglio 2012, rivitalizzati dal “Decreto del fare”, le obbligazioni per le PMI “hanno un grande futuro davanti a loro”:  il mercato per i mini-bond è stimato in 21 miliardi (per confronto, il totale crediti bancari erogati è di 1.400 miliardi), ora aperto anche ad assicurazioni, fondi previdenziali, mercato retail oltre agli investitori professionali.
Fra le ragioni che sembrano arridere e spingere all’emissione di mini-bond vengono citati: accesso difficile al credito, costo elevato del debito bancario, difficoltà di ottenere credito a medio-lungo termine.
Ma i mini-bond possono sostituire il credito bancario? Forse no, ma possono integrare la raccolta di finanziamento con un orizzonte più ampio sia a breve termine (cambiali finanziarie) che a medio (obbligazioni e titoli similari, anche convertibili in capitale) e senza vincoli di bilancio (possono essere emessi anche per somme superiori al capitale sociale); sono inoltre previste una pluralità di soggetti finanziatori-investitori e la possibilità di un mercato secondario (quando gli investitori vendono e comprano dopo l’emissione, su un mercato peraltro ancora da avviare per i mini-bond).
Se il mercato “stimato” è di 21 miliardi, sinora sono stati emessi mini-bond per circa 1 miliardo: quando cresceranno? E chi è disposto a metterci le risorse per farli decollare, quindi erogare prestiti alle imprese PMI? In Italia sono nati 25 fondi di credito per investire in mini-bond, ma tutti trovano difficoltà a raccogliere capitale, lasciando quindi ai blocchi di partenza il progetto ed impedendone lo sviluppo.
Come se non bastasse, potenziali investitori chiedono la “garanzia statale”, prevista nel decreto “Destinazione Italia” a copertura degli investimenti in mini-bond emessi da PMI: il decreto prevede infatti la costituzione di un fondo che garantisce l’investitore società di gestione del risparmio (Sgr) che investa in obbligazioni e titoli simili emessi da piccole e medi imprese; a questa garanzia vorrebbero accedere anche i fondi di previdenza complementare (6,1 milioni di iscritti, 110 miliardi in gestione), potenziali investitori in questa tipologia di fondi. Ma allo stato attuale, non si hanno notizie di chi debba attuare la previsione di costituzione del fondo contenuta nel decreto, con quali coperture, per quali tipologie di investimento e con quali procedure.
Sarà anche “destinazione Italia”: ma sembra di viaggiare sui treni accelerati scomparsi alla fine degli anni Sessanta.


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