“”Ciò che rese
la situazione anche più esplosiva fu il fatto che proprio in questo periodo la
situazione politica interna delle grandi potenze spinse la loro politica estera
nella zona pericolosa. (…) Non è lecito sostenere “che la causa principale del
tragico fallimento dell’Europa nel luglio 1914 fu l’incapacità delle forze
democratiche dell’Europa centrale e orientale di stabilire un controllo sugli
elementi militaristici della società, e l’abdicazione degli autocratici non già
di fronte ai loro fedeli sudditi democratici ma ai loro irresponsabili
consiglieri militari”? e peggio ancora: paesi alle prese con insolubili
problemi interni non sarebbero stati tentati di correre l’alea di risolverli
con un trionfo esterno, specie quando i loro consiglieri militari assicuravano
che, poiché la guerra era certa, era meglio farla subito?
Questo non era
chiaramente il caso in Inghilterra e in Francia, nonostante i loro problemi. Lo
era probabilmente in Italia, anche se per fortuna l’avventurismo italiano non
poteva sa solo scatenare una guerra mondiale. Lo era in Germania? Gli storici
continuano a discutere sull’effetto della politica interna della Germania sulla
sua politica estera. Sembra chiaro che in Germania (come in tutte le altre
potenze) l’agitazione di destra appoggiò e promosse la corsa agli armamenti,
specie marittimi. Si è affermato che le agitazioni operaie e il progresso
elettorale della socialdemocrazia indussero le élites dirigenti a neutralizzare i problemi interni con successo
all’estero. (…) Ed era questo il caso della Russia? Sì, nella misura in cui lo
zarismo, restaurato dopo il 1905 con modeste concessioni liberali,
probabilmente vedeva nell’appello al nazionalismo grande-russo e alla gloria
militare la via migliore per la propria rinascita e rafforzamento. E in
effetti, senza la salda e entusiastica fedeltà delle forze armate, la
situazione nel 1913-14 sarebbe stata più vicina alla rivoluzione che in
qualsiasi momento fra il 1905 e il 1917. Ma grazie ad alcuni anni di
preparazione militare (vista con timore dai generali tedeschi), la Russia
poteva accettare l’idea di una guerra, cosa palesemente impossibile alcuni anni
prima.
C’è tuttavia
una potenza che non poteva far altro che puntare la sua esistenza nel gioco d’azzardo
militare, perché senza di esso sembrava condannata: l’Austria-Ungheria,
lacerata dagli anni intorno al 1895 da insolubili problemi nazionali, fra i
quali quelli degli slavi meridionali sembravano i più impervi e pericolosi per
tre ragioni. Primo, perché gli slavi meridionali non soltanto erano turbolenti
come le altre nazionalità politicamente organizzate dell’impero plurinazionale,
che facevano a gomitate per ottenere vantaggi; ma i loro problemi erano
complicati dal fatto che essi appartenevano sia al governo linguisticamente flessibile
di Vienna, sia al governo spietatamente magia rizzante di Budapest. (…)
Secondo, perché il problema slavo dell’Austria non era districabile dalla
politica balcanica, e dal 1876 si era viepiù intrecciato con quest’ultima
grazie all’occupazione della Bosnia. (…) Terzo, perché il collasso dell’Impero
ottomano segnava praticamente la condanna dell’Impero asburgico, a meno che
questo non riuscisse a dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio di esser
ancora nei Balcani una grande potenza, di cui nessuno poteva prendersi gioco. (…)
La crisi finale
del 1914 fu così totalmente inaspettata, così traumatica, e in retrospettiva
così ossessionante, perché fu essenzialmente un incidente della politica
austriaca, che a giudizio di Vienna imponeva di “dare una lezione alla Serbia”.
L’atmosfera internazionale sembrava calma. Nessun ministro degli Esteri
prevedeva guai nel giugno 1914, e personalità pubbliche erano state assassinate
a frequenti intervalli per decenni. In linea di massima, nessuno si
scandalizzava se una grande potenza faceva la voce grossa con un piccolo e
turbolento vicino. Da allora si sono scritti circa cinquemila volumi per
spiegare l’apparentemente inesplicabile: come mai, nel giro di poco più di
cinque settimane da Sarajevo, l’Europa si trovò in guerra. La risposta sembra
oggi tanto chiara quanto banale: la Germania decise di dare all’Austria pieno
appoggio, cioè di non “disinnescare” la situazione. In resto seguì inesorabilmente.
Perché nel 1914 qualsiasi confronto fra i blocchi, in cui l’uno o l’altro
dovesse battere in ritirata, li portava sull’orlo della guerra. Al di là di un
certo punto, la pesante macchina delle mobilitazioni militari (…) non poteva
più essere fermata.””
. “”
Eric Hobsbawm, “L’età degli Imperi.
1875-1014”, Oscar Mondadori, 1995, pagg. 367-369
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