Soggetti che offrono professionalmente servizi di consulenza agli
azionisti in materia di esercizio dei diritti di voto, i proxy advisors, che
esercitano il diritto di voto sulla base di specifici mandati, hanno assunto
anche in Italia un ruolo crescente, principalmente al servizio di fondi comuni
di investimento ed istituzionali, in occasione delle assemblee delle società
quotate, le cui azioni sono detenute da questi investitori. Un recente quaderno
Consob (n. 81/2015) ne fa una fotografia, con riferimento al primo anno, il
2012, in cui si è applicato il principio del “say-on-pay” che informa sulle
politiche di remunerazione degli amministratori delle società: se negli altri
paesi le indicazioni di voto sono correlate all’effettivo risultato aziendale,
nel nostro paese il tema sembra essere quello della scarsa trasparenza sulle
varie componenti della retribuzione degli amministratori. Nello studio si
rileva come gli investitori istituzionali che detengono partecipazioni
rilevanti siano generalmente autonomi nelle loro espressioni di voto, mentre
gli investitori che detengono partecipazioni con quote minori si adeguano
generalmente alle indicazioni formulate dai proxy advisors. Altrettanto
importante è il recente voto del Parlamento europeo sulla proposta di direttiva
sui diritti degli azionisti, che mira ad impedire ai consulenti (i proxy
advisors) di elaborare delle raccomandazioni che non siano sufficientemente ed
adeguatamente approfondite e motivate, ed illustrate con anticipo rispetto al
momento del voto, così da poter esercitare il diritto di voto sulla base delle
deleghe raccolte in modo trasparente ed attraverso un adeguato processo
informativo con gli azionisti che hanno delegato i proxy advisors ad esercitare
il diritto di voto.
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