CDP Reti -- partecipata oggi al 65% da CDP Cassa Depositi e Prestiti (di
cui l’80,1% è in mano al MEF) dopo che il 35% è stato venduto ai cinesi di
State Grid -- possiede il 30% di Snam ed il 29,9% di Terna. Il 35% di CDP Reti
è stato valorizzato 2.100 milioni di euro (incluso un “premio” di oltre il
15%).
CDP sta chiamando a raccolta investitori istituzionali italiani, fra cui
campeggiano le più titolate fondazioni bancarie, per cercare di vendere
complessivamente fra il 7% ed il 14% di CDP Reti (a valle dell’operazione, CDP
resterebbe con il 51% di CDP Reti, mantenendone il controllo). CDP si potrebbe
quindi attendere un incasso fra 400 ed 800 milioni, a seconda della percentuale
venduta. CDP Reti è una sub-holding intermedia fra CDP e le società operative
Snam e Terna.
Un investimento in CDP Reti da parte delle fondazioni bancarie non sarebbe
quindi in una società operativa, ma in una “scatola” il cui utile deriva dal
flusso di (eventuali) dividendi provenienti da Snam e Terna; sarà poi decisione
di CDP Reti la distribuzione di dividendi ai suoi azionisti, a fronte di utili
realizzati da CDP Reti stessa.
Le vicende delle 2 società sono
note, e non solo agli analisti. Come riportato dai media, sarebbero 20 gli
investitori interessati; in media, ognuno di essi metterebbe sul tavolo fra 20
e 40 milioni di euro; non sono noccioline, e comunque la misura dell’investimento
sarebbe graduata, si deve ritenere, sulla forza e dimensione relativa di
ciascuna fondazione.
Non siamo dinanzi ad una rigorosa operazione di “privatizzazione” (cessione
a terzi), ma più semplicemente ad una “operazione di sistema”, “per far cassa”.
Il contesto sembra chiaro: vengono offerte una partecipazione di minoranza
in una sub-holding e nessuna voce in capitolo sulla gestione delle partecipate,
inclusi i loro investimenti industriali, che possiamo immaginare rilevanti per
gli anni a venire, sia per l’attività infrastrutture gas che per quella
infrastrutture elettriche; ne potrebbe derivare un doppio effetto, da un lato
una richiesta di futuri aumenti di capitale da parte delle partecipate, dall’altro
una riduzione del loro dividendo distribuibile. L’investimento da parte delle fondazioni
bancarie sarà esclusivamente finanziario, quindi da valutare secondo rigidi
parametri di ritorno atteso sull’investimento: non sedendo nel “board” delle
fondazioni, non possiamo soppesare e comprendere (“thanks, god!”) le ragioni di
un (così forte) interesse all’investimento.
Un investimento che dovrebbe essere coerente con un disegno complessivo di
riduzione dell’investimento nelle partecipate bancarie, da parte delle
fondazioni. Appunto. Quando le fondazioni bancarie ridurranno le loro
partecipazioni nelle banche, aderendo ad una previsione di legge di lunga data
(e su cui la polvere si accumula, decennio dopo decennio)?
Ci auguriamo, infine, che le fondazioni possano trovare nell’investimento
in CDP Reti quelle soddisfazioni di azionista che da lungo tempo non arridono
loro: dal 2000 il loro patrimonio è cresciuto, in media, di un contenuto 1,5%
annuo.
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