Le imprese europee fanno marcia indietro e rimpatriano le attività industriali de-localizzate
negli ultimi anni, seguendo l’esempio degli USA: ad inizio marzo Cbi
(associazione imprenditori inglesi) ha interpellato le imprese UK: un
terzo di esse, che danno lavoro a 1,3 milioni di addetti con un
fatturato annuo di 938 milioni di sterline, ha riportato in patria,
negli ultimi 3 anni, almeno parte delle attività all’estero; la metà
delle imprese tedesche lo ha già fatto e l’altra metà conta di farlo nei
prossimi 3 anni; in Europa, il 40% delle imprese è interessato al “rimpatrio industriale” (“reshoring”),
percentuale che scende al 29% per le imprese italiane. Le ragioni? Il
73% delle imprese interpellate indica come fattore principale la migliore qualità della produzione nazionale, il 54% indica l’importanza di essere vicini ai propri mercati e clienti principali.
Solo in UK, il “reshoring” potrebbe (ri)creare sino a 200.000 posti di
lavoro ed un aumento del PIL fra 6 e 12 miliardi di sterline (stima
PWC). Il 60% dei managers UK ha indicato come fattori-chiave che li
indurrebbero al “rimpatrio industriale” l’ alleggerimento della burocrazia europea (come nel campo della fornitura di energia) e regole più flessibili nel mondo del lavoro.
Nessun commento:
Posta un commento