Da inizio 2014, l’indice S&P 500 statunitense è
passato da 1831,98 (2 gennaio) a 1948,34 (22 ottobre, a metà mattina), con un +
6,35% da inizio anno (il massimo è stato il 19 settembre con un indice a
2010,40, pari a + 9,74% da inizio anno); a questi livelli, la capitalizzazione
di borsa delle società dello S&P 500 è 18.500 miliardi di US$, con utili
previsti nel 2014 compresi fra 1.100 e 1.200 miliardi US$, che significano un
rapporto Prezzo/Utili (P/E) compreso fra 16 e 17 volte, valori superiori alla
media storica di 14-15 volte del periodo 1965-2012.
La ragione di un livello
così elevato del P/E non è da iscrivere al minor costo del capitale: la maggior
parte dell’aumento della capitalizzazione è avvenuto negli ultimi 2 anni, in
una fase di aumento dei rendimenti dei titoli governativi; e comunque, le
evidenze indicano che il costo del capitale è rimasto stabile negli ultimi 50
anni (in termini reali).
Una più forte ragione risiede nel livello
eccezionalmente alto della liquidità presente nei forzieri delle società USA
stimata in 1.300 miliardi di US$ (in misura preponderante mantenuta in società
estere, per evitare la tassazione dei relativi utili negli USA): eliminando
questo effetto “cash”, il P/E sarebbe 14,3 volte, nella media storica.
Il
Prezzo di un azione “sconta” le prospettive di reddito futuro: è quindi
importante sottolineare l’ottimo livello degli utili aziendali, che sono
costantemente saliti da una media dell’11% sulle vendite del periodo 1970-1995
al 14% del 2013 ed al 15% del 2014 (stima), complice lo spostamento della
composizione dello S&P 500 che ha visto crescere 3 settori a più elevata
redditività, finanziari, tecnologici (IT), farmaceutici (healthcare).
Temi
cruciali -- e non banali -- per il futuro sono la sostenibilità di tali livelli reddituali e la
capacità di investimento (oggi, in una fase di ridotti “capital expenditure”).
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