Un estratto di questo articolo è stato pubblicato su AdviseOnly Blog nella rubrica #IlGraffio in data 1.4.2015.
Cedole,
all’argentina.
Dall’estate
2014 l’Argentina è in “default tecnico” su tutte le emissioni obbligazionarie
in valuta estera, a seguito della decisione del giudice USA Griesa, sotto la
cui giurisdizione rientrano i “bond” emessi secondo la legge USA. Ricordiamo
che a seguito di 2 ristrutturazioni del debito estero argentino, nel 2005 e nel
2010, sono stati emessi nuovi bond in valuta, attraverso operazioni di “swap”
cui ha aderito il 93% circa dei possessori del debito originario, accettando un
“taglio” (“cut-off” o “write-off”) sostanziale, per alcune emissioni sino al
90% del valore nominale originale; il 7% che si è rifiutato di aderire agli swap
ha avviato azioni legali per vedersi riconoscere il rimborso integrale del
debito detenuto (acquistato successivamente, a sconto, oggi quasi integralmente
in mano ad alcuni “hedge funds” USA, per un valore di 1.600 milioni di US$).
Fra le
azioni intraprese, vi è stata anche la richiesta al governo USA di “sequestro”
dei beni dello stato argentino posseduti all’estero, richiesta che è stata
rifiutata da Washington.
Gli
operatori si attendevano un accordo fra governo argentino, corte USA e
creditori (vecchi e nuovi), una volta venuta a scadenza, il 31 dicembre
2014, la clausola RUFO (Rights Upon Future Offers) che
vietava al governo argentino (il debitore) di offrire ai (vecchi) creditori
che non hanno accettato il rinnovamento dei titoli delle condizioni
migliori di quelle offerte ai creditori che hanno aderito
allo scambio. Ma non c’è stato sinora nessun segno di accordo.
Una
vicenda intricata, con colpi di scena che hanno visto proclami, sequestri,
minacce da parte dei “focosi contendenti”.
L’interesse
per la vicenda non è solamente finanziario (come saranno rimborsati i “bondholders”?
E saranno rimborsati?) ed economico (come potrà tornare ad essere un “paese
normale” l’Argentina, che è stata in “default” per i 2/3 degli anni da inizio
1800 ad oggi?) ma anche legale; un “caso” che potrebbe fare scuola, anche
vicino a casa nostra (un necessario riferimento alla Grecia?...).
Dalla
scorsa estate, il pagamento degli interessi sui “bond” “ristrutturati”
argentini (emessi sotto la giurisdizione americana ed inglese, in misura
inferiore) è bloccato, nonostante il paese abbia i fondi necessari ed abbia
depositato 539 milioni di US$ presso alcune banche (prima BofNY, ora Citibank);
il giudice USA Griesa (competente perché i bond sono stati emessi sotto la
legge USA) ha infatti intimato alla banca di non procedere al pagamento degli
interessi, che potranno essere pagati solo dopo il rimborso integrale dei
vecchi bond ai detentori che non hanno aderito allo “swap” (il 7% sopra
ricordato).
Il
governo argentino ha espresso più volte il proprio risentimento per questa
situazione, aumentando la “pressione”, non solo mediatica.
In ordine
di tempo, le ultime vicende hanno visto il giudice USA prima vietare alla
filiale argentina di Citibank il pagamento degli interessi anche su 4 bond in
US$ emessi sotto la giurisdizione argentina nell’ambito delle ristrutturazioni
del 2005 e del 2010.; la banca incaricata del pagamento, Citibank, ha affermato
che i bond non possono essere considerati “debito estero” e quindi come tali non
ricadono nel “pari passu” (parità di trattamento che impone il rimborso del
bond in default prima di pagare le cedole sui bond ristrutturati); la decisione
presa del giudice si basava su una serie di elementi: i bond in questione, pur
emessi sotto la legge argentina, sono frutto dello swap di bond originariamente
emessi sotto la legge USA e quindi devono considerarsi “debito estero” agli
effetti del default argentino; la banca svolge un ruolo attivo nella procedura
di versamento degli interessi e quindi può essere sanzionata se non aderisce
alla decisione di “freezing”; il governo argentino ha sollecita Citibank a
pagare gli interessi, sotto la minaccia di ritiro della licenza ad operare in
Argentina.
E poi, ecco irrompere il classico “colpo di scena” con la decisione rivista dal giudice USA nella giornata di lunedì 23 marzo: via libera al pagamento degli interessi in scadenza al 31 marzo 2015 stabilendo che “non impedirà” a Citibank il pagamento di 17 milioni di USD, quota interessi sui titoli ristrutturati e regolati dalla legge argentina, a condizione che la banca si astenga dal partecipare ad operazioni sui titoli argentini.
E poi, ecco irrompere il classico “colpo di scena” con la decisione rivista dal giudice USA nella giornata di lunedì 23 marzo: via libera al pagamento degli interessi in scadenza al 31 marzo 2015 stabilendo che “non impedirà” a Citibank il pagamento di 17 milioni di USD, quota interessi sui titoli ristrutturati e regolati dalla legge argentina, a condizione che la banca si astenga dal partecipare ad operazioni sui titoli argentini.
Un “caso”
che ad ogni puntata riserva sorprese e che “fa come il gambero” ritornando
sempre al punto di partenza.
Avvocati di governo
argentino, governo USA, bondholders, hedge funds, associazioni di investitori
obbligazionisti “scottati” dal “malaccorto investimento” (molti gli italiani che
hanno investito tramite banche italiane) e banche varie sono in continuo
peregrinare fra speranze e delusioni (per lo più le seconde).
La pace solitamente la firmano i peggiori
nemici: in questo caso, essi devono anche decidere su quale carta scriverlo.
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