Un estratto di questo articolo è stato pubblicato su AdviseOnlyBlog nella rubrica #IlGraffio in data 20.4.2015.
Nella
definizione di spesa pubblica si includono spese correnti, interessi,
investimenti; rapportata al PIL, la spesa pubblica nel 2014 è stata di 817,5
miliardi di euro pari al 51,1%; era il 25,0% nel 1954 ed è via via cresciuta
negli anni: ha superato il 30% nel 1996, il 40% 1981, ha sfondato il 50% per la prima
volta nel 1990 per poi ridiscendere sotto il 50% stesso nel 1997, e ritornare
sopra il 50% dal 2012; prima osservazione: nella serie dal 1954, in nessun
anno le entrate (imposte dirette, imposte indirette, contributi sociali, altri
ricavi) sono state superiori alle spese, determinando quindi una serie
ininterrotta di “deficit” (con una differenza massima fra spese ed entrate di
11,6 punti di PIL nel 1988). Le entrate fiscali erano il 23,1% del PIL nel 1954;
hanno superato il 40% nel 1990; sono il 48,1% del PIL nel 2014. Se “sommiamo”
tutti i deficit dal 1954 al 2014, arriviamo ad un valore che è 3,15 volte il
PIL 2014.
La spesa
pubblica italiana è assai elevata in assoluto ed in percentuale del PIL, con un
grosso “ma” quando la si raffronta a livello europeo: la “spesa pubblica totale”
(tutte le spese correnti inclusi stipendi, investimenti, pensioni, sussidi,
interessi) è infatti il 51,1%: in Europa, livelli più elevati di “spesa pubblica
totale” vi sono in Francia (57,3%), Svezia (54,6%), Belgio (54,1%); la Germania
è al 44,1%; se si analizza la “spesa pubblica primaria”, escludendo pensioni ed
interessi (che dipendono da “scelte del passato”), la percentuale sul PIL della
spesa italiana è il 28,8%: la Svezia è al 41,9%, la Francia al 39,1%, la
Germania al 30,1%. Una seconda osservazione è quindi che in Italia il costo per
interessi e per pensioni è più elevato che in altri paesi europei, poiché “vale”
il 20% di PIL, mentre in Germania “vale” il 14% ed in Svezia il 12,7%.
Ma come si
compone la spesa pubblica? Dalla sua analisi si traggono utili osservazioni
(che sta al governo ed alla politica ben utilizzare; la storia degli ultimi 60
anni depone in senso contrario, peraltro).
Gli 817,5
miliardi di spesa pubblica nel 2014, per livello di governo, sono così composti
(fonte Istat):
323,7 miliardi
(il 39,6%) per la previdenza (pensioni)
264,9 miliardi
(il 32,4%) per costi delle amministrazioni centrali (e.g., ministeri,
giustizia, difesa, …)
111,2 miliardi
(il 13,6%) per la sanità
66,2 miliardi
(l’8,2%) per i comuni
41,7 miliardi
(il 5,1%) per le regioni (esclusa la sanità, sopra indicata)
9,8 miliardi (l’1,2%)
per le province (recentemente oggetto di una norma di “abolizione”)
Nella spesa
pubblica sono inclusi gli investimenti, che per il 2014 sono stati 31,1
miliardi (il 3,8% del totale della spesa pubblica), per la maggior parte
effettuati dagli enti locali (572,2 miliardi, il 70%), e poi a quelli centrali
(201,9 miliardi, il 25,8%); gli investimenti per la difesa sono stati 8,9
miliardi.
Una “spending
review” dovrebbe concentrarsi su tutte le voci di spesa, per quanto difficile
possa essere “incidere” (i mezzi dovrà indicarli la politica e non solo la
tecnica) su voci come le pensioni, che assorbono 40 euro per ogni 100 spesi
dallo stato; l’azione del governo si è sinora concentrata su una voce “facile”
come quella delle province, forse perché toccava solo l’1,2% del totale della
spesa, ma aveva un suo “peso mediatico” dando l’idea che “si faceva sul serio”.
Ma per uno stato che negli ultimi 60 ha speso sempre più di quanto ha incassato
“ci vuol ben altro”, anche se forse un deficit del 3% (differenza fra il 51,1%
di spesa sul PIL ed il 48,1% di entrate fiscali sul PIL) non è che “una goccia
in un mare” di risorse sottratte ai cittadini in 60 anni; ma ricordarsi le
dotte parole di un senatore del regno (Maffeo Pantaleoni, morto nel 1924, 90
anni fa) non farebbe male: ""Qualunque imbecille può inventare e imporre
tasse. L'abilità consiste nel ridurre le spese, dando nondimeno servizi
efficienti, corrispondenti all'importo delle tasse.""
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