lunedì 13 aprile 2015

Migliaia di soci per un pugno di azioni.



Un estratto di questo articolo è stato pubblicato nella rubrica #IlGraffio su AdviseOnlyBlog in data 13.4.2015. 


Alcune banche popolari sono quotate, molte no; le azioni delle banche popolari non quotate, possedute da singoli investitori privati (c.d. azionariato diffuso) possono essere negoziate su “sistemi di negoziazione interni” alle singole banche, che operano nel c.d. “regime di internalizzazione non sistematica”; 
le proposte di acquisto e vendita trovano esecuzione in funzione delle quantità di vendita ed acquisto disponibili in ciascuna sessione, normalmente previste 2 volte al mese; 
laddove le proposte di vendita non trovassero una controparte fra le proposte di acquisto da parte del cliente-socio, la banca può acquistare in proprio le azioni messe in vendita, a valere sulla disponibilità del fondo acquisto azioni proprie, che ciascuna banca popolare può costituire, nei limiti consentiti dalla normativa (riserve costituite da utili realizzati e non distribuiti) e con modalità stabilite dai rispettivi regolamenti aziendali; ma non vi è alcun obbligo all'acquisto, e quindi alla esecuzione dell'ordine;
ulteriore particolarità di questo tipo di azioni, è che le proposte di compravendita possono essere inserite solo con prezzo pari a quello stabilito annualmente dall’assemblea annuale dei soci, e questo prezzo fa riferimento al valore contabile delle azioni basato sulla consistenza del patrimonio netto della banca (capitale e riserve). 

Norme simili sono in essere anche per altre banche non quotate, come nel caso di alcune casse di risparmio.


Le caratteristiche descritte parlano chiaro:

a) le azioni hanno una limitata “liquidità”: possono essere vendute/acquistate 2 volte al mese (in generale); si parla quindi di “titoli illiquidi”, ma troppo spesso gli investitori non sono stati informati che la illiquidità di un titolo ha un costo elevato: impossibilità di vendere quando si vuole, prezzo fissato al di fuori di regole di mercato, limitata presenza di una controparte (in acquisto);

b) se non c’è una controparte, le azioni possono essere acquistate (o vendute) dalla banca stessa, a valere sulla disponibilità nel rispettivo fondo acquisto azioni proprie;

c) il prezzo di acquisto/vendita vale per un intero anno, e si basa sul valore contabile di patrimonio netto.


Un sistema disallineato da come operano i mercati dei capitali; un sistema che fa correre il rischio dell’investimento all’investitore non sul “valore” delle azioni basato sull’incontro fra domanda ed offerta (tipico del mercato dei capitali, per quanto imperfetto questo possa essere e sia), ma su un “valore contabile” che è determinato esclusivamente sui valori patrimoniali, sulla base dell’ultimo bilancio approvato, e su proposta del CdA della banca, le cui azioni sono negoziate: forse ci si trova dinanzi ad un qualche “piccolo conflitto di interessi”...


Tutto è andato bene sino a poco tempo fa, per esser precisi sino alla introduzione delle normative europee sulle regole di bilancio applicabili alle banche europee (inclusa la definizione e classificazione dei crediti deteriorati ed in sofferenze, con conseguente adeguamento dei fondi e del patrimonio delle banche).


Nei scorsi giorni, in occasione delle assemblee di alcune banche popolari, 2 banche hanno ufficializzato la riduzione del valore contabile delle rispettive azioni del 20% - 25%, in conseguenza degli accantonamenti per svalutazione dei crediti in sofferenza e dubbi, ed in alcuni casi del’avviamento.


Il mercato dei capitali è cosa diversa, forse le sue regole sono dure; ma il mercato delle azioni negoziate su “sistemi di negoziazione interni” è ancora meno certo del “foro boario” dove si vendevano e compravano i bovini; forse che sia per questo che i “poveri” azionisti privati vengono definiti “parco buoi”?


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