“” Con le
economie volute da Necker (ministro delle Finanze del re di Francia Luigi XVI,
ndr) fluivano nelle casse dello Stato 36 milioni di lire e senza aggravi per il
contribuente. Tuttavia, i nobili lo accusavano di aver cancellato l’opulenza di
Versailles e sminuito il potere stesso della monarchia (…). Luigi XVI lo
difendeva a spada tratta e gli scriveva in un bigliettino del 19 settembre
1780: “Monsieur Necker, continuate nella
vostra azione riformatrice, e state sicuro che Noi vi sosterremo. Contate sulla
Nostra fermezza”. (…) Nel gennaio del 1781 il ministro Necker preparava un
colpo di scena teso a cambiare radicalmente il farraginoso sistema tributario,
un meccanismo che fino ad allora aveva permesso alla monarchia di non dare
conto al popolo dell’uso fatto del denaro proveniente dalle imposte. Dal primo
giorno del suo mandato il ginevrino si era imposto come parola d’ordine “trasparence” e, per onorare un simile
impegno, aveva deciso di rendere noto il bilancio statale. Il 19 febbraio,
presso l’editore Panckouke, faceva pubblicare una brochure di centosedici pagine intitolata Le compte rendu du roi. Vi erano riportate in buon ordine le
astronomiche cifre sperperate dalla Corte negli ultimi anni in prebende,
pensioni, feste ed altre assurdità. In un sol giorno, di quel libricino si
vendevano seimila copie e, non appena terminata la prima tiratura, una gran
folla si precipitava dal tipografo costringendolo a stamparne altre centomila. Georges-Louis
Leclerc, conte di Buffon, così plaudiva: “Per questo libretto in lettere d’oro,
io vi considero, Signor Necker, un genio, un dio tutelare, un amante dell’umanità
che sa farsi adorare in ogni sua azione”. Furibondi, invece, erano Vergennes e
Maurepas (2 ministri del re, ndr), che giudicavano l’iniziativa del collega
come una pugnalata al cuore dell’assolutismo monarchico. Il responsabile degli
Esteri, nel riferirsi al Rendiconto,
parlava di una “publication républicaine”,
di un “attentat criminel contre la
monarchie très-chrétienne”. A screditare Necker scendeva in campo il conte
di Provenza (fratello del re, ndr) insieme al suo intendente Cromot du Bourg dando
alle stampe un Mémoire secret in cui si svelavano i propositi futuri del direttore
delle Finanze, compresa l’idea di conferire maggior potere alle Assemblées provinciales e indebolire i
Parlamenti. Il libello faceva esplodere la rabbia di aristocratici e di
magistrati del Regno, i quali temevano di essere nuovamente sollevati dal loro
incarico come era già avvenuto sotto Luigi XV. Il sovrano taceva, sebbene non
apparisse più disposto a difendere Necker, al quale negava persino alcune
udienze Così, il 19 maggio, un sabato, il ginevrino si recava a Marly per
incontrare il re e rassegnare le proprie dimissioni. Poiché Luigi non si faceva
trovare, egli, preso da un sentimento d’ira misto a rassegnazione, consegnava
il billet de démission nella mani di Maria Antonietta. Aveva scritto: “La
conversazione con M. de Maurepas non mi consente di altro se non di rimettere
le dimissioni a Vostra Maestà. Ho l’animo rattristato, e oso sperare che Vostra
Maestà si degnerà di conservare un ricordo degli anni felici, del faticoso
lavoro svolto insieme e soprattutto dello zelo senza limiti con cui mi sono
votato nel servirla. Necker”. (…) La notizia delle dimissioni di Necker faceva
il giro di Parigi. Per comprendere le reazioni dell’opinione pubblica, ecco le
parole del barone Frédéric Melchior de Grimm nella Correspondance littéraire adressée à un souverain de l’Allemagne: “La
domenica mattina, il 20 maggio, si seppe che il Necker aveva rinunciato al
ministero. A ciò si era preparati da tempo a causa delle dicerie che
circolavano nella città e a Corte. I viali, i caffè, i luoghi pubblici brulicavano
di gente, tuttavia regnava uno straordinario silenzio. Quei primi momenti di
stupore pari al dolore di una famiglia che ha perso l’oggetto e il sostegno di
ogni speranza. Mai un ministro ha portato nel suo ritiro gloria più pura e più
integra di Necker, e mai ha ottenuto più ampia testimonianza della benevolenza
e dell’ammirazione del popolo”.””
Antonio Spinosa, “Luigi XVI. L’ultimo
sole di Versailles”, pg. 96, 98-99.
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