Un estratto di questo articolo è stato pubblicato nella rubrica #IlGraffio su AdviseOnlyBlog in data 7.8.2015.
Commodity (termine inglese che indica un bene per cui c'è
domanda ma che è offerto senza differenze qualitative sul mercato,
“standardizzato” e fungibile) e finanza sono parenti stretti, molto stretti: le
commodity sono oggetto di negoziazione
sui mercati internazionali e costituiscono l'attività sottostante
per vari tipi di strumenti derivati,
in particolare per i futures e le options. Fra le circa 50 commodity negoziabili sui
mercati internazionali ci sono prodotti agricoli (avena, farina di soia, frumento, mais,
olio di soia, soia),
coloniali e tropicali (cacao, caffè, cotone, legname, succo d'arancia, tabacco, zucchero, olio di palma), carni (bovini, bovini
da latte, maiali, pancetta di maiale),
metalli (alluminio, argento, nickel, oro,
palladio, platino, rame,
zinco), energetici (benzina, etanolo, gas naturale, nafta, petrolio), altri beni e prodotti (gomma naturale,
meccanica, ottica, veicoli, farmaceutici, acciaio, prodotti chimici). Le commodity
sono negoziate, mediante contratti spot
(a pronti), futures ed options,
in vari mercati: i più famosi sono il Chicago Board of Trade
(CBOT), il Chicago Mercantile Exchange (CME), il New
York Board of Trade (NYBOT)
per i prodotti agricoli ed alimentari, il New York
Mercantile Exchange (NYMEX) per i prodotti “hard commodity”, il London Metal Exchange
(LME) per il petrolio. Gli indici
di prezzo sulle commodity sono stati creati con lo scopo di fornire
degli indicatori sull'andamento delle materie prime sottostanti, o su un loro
sottoinsieme tematico (ad esempio, metalli o energetici): il più noto è il SP Goldman Sachs Commodity Index.
La creazione di mercati di derrate alimentari e l’uso di contratti
“derivati” si fa risalire ai Sumeri, fra il 4.500 ed 4.000 a.C., per favorire
l’attività agricola e limitare la “volatilità” dei prezzi relativi: al momento
della semina l’agricoltore conosce il costo di seme, lavoro, fertilizzante, ma
non sa a quanto potrà vendere il prodotto al momento del raccolto; deve cercare
di “assicurarsi il profitto”; da qui nasce il contratto future che è una obbligazione (le parti sono obbligate ad onorare
il contratto) a comprare e/o vendere un prodotto ad un prezzo pre-fissato per
una data pre-fissata; maggiore il volume delle transazioni fatte dagli
operatori, migliore la “liquidità” dello strumento, maggiore l’”affidabilità”
dei prezzi; l’opzione è un “perfezionamento” dello strumento in quanto consente
la mera possibilità (contro il pagamento di un “margine”) di portare a
compimento il contratto, ad un prezzo fissato nel contratto (strike price, o d’esercizio), laddove le
condizioni finanziarie dell’opzione siano favorevoli per chi l’ha sottoscritta
(l’opzione call è la facoltà di
acquistare, quella put di vendere),
diversamente l’opzione non viene esercitata.
Guardando al futuro del
“bene fisico”, si può osservare come, con la crescita della popolazione e il
miglioramento degli standard di vita, sia prevedibile un aumento della domanda
di varie commodity.
Il tema della
“finanziarizzazione” delle commodity cereali (che rappresentano il 50% dei cibo
consumato nel mondo), è oggetto di dibattiti accesi, poiché gli effetti del trading finanziario viene ritenuto la
causa principale dell’incremento di prezzo dei beni fisici, con conseguenze
dirompenti sulla disponibilità di cereali per l’alimentazione; analogo dibattito
esiste riguardo il crescente utilizzo di cereali come combustibile “verde”
(circa 1/3 della produzione mondiale).
Discorso diverso per l’ ”asset
finanziario”. Dagli anni Novanta sono cambiate le “regole del gioco”: le commodity sono diventate oggetto di
forte interesse da parte di soggetti diversi da agricoltori ed industriali del
settore (i primi consumatori dei beni in questione), con l’ingresso in campo di
investitori (fondi di investimento, banche, operatori finanziari) accanto alle trading houses ed ai dealer specializzati, avendone visto le
caratteristiche fondamentali per farne una “asset
class”: standardizzazione dei
contratti, ampia disponibilità di
beni, possibilità di forti e rapide variazioni dei prezzi degli strumenti
finanziari (futures ed options) che significa ampia volatilità e quindi ampie
possibilità di guadagno (e specularmente, di perdita), situazione tipica del
mercato finanziario che vive di “posizioni” sulle aspettative di variazione dei
prezzi delle singole “asset class”;
si è andata modificando la natura degli strumenti finanziari sulle commodity che da “copertura” ed
“assicurazione” dei prezzi sono diventati vettori
della volatilità dei prezzi stessi; la c.d. “finanziarizzazione delle commodity”. Sono nati strumenti di vario
tipo, dagli indici agli ETF, agli ETC (Exchange Traded Commodity), ai fondi
specializzati, a contratti OTC (mercati non regolamentati). In termini di
diversificazione e risultati dell’investimento in commodity, i rendimenti storici delle commodity hanno mostrato una scarsa
correlazione con quelli delle azioni o di altre classi di attività. Rispetto
alle azioni e ad altre attività finanziarie tradizionali, le commodity hanno mostrato la tendenza a
conseguire performance inferiori.
Seppure manchino dati precisi, le negoziazioni a contenuto
esclusivamente finanziario hanno rapidamente superando le transazioni fisiche
sui beni sottostanti. Si compra e si vende un bene “virtuale” in modo
indipendente dalla sua effettiva disponibilità fisica, ed in caso di richiesta
di consegna del “fisico” ci si trova nella impossibilità di “consegnare”; le
conseguenze sono immaginabili. Le commodity
sono passate da essere utile strumento di “assicurazione e copertura” per
muscolosi contadini a rappresentare una efficace tipologia di investimento per
gagliardi investitori-speculatori.
A partire dal 2018, le regole di Basilea III imporranno alle banche
adeguati capitali propri per le attività di trading, incluse quelle sulle
commodity; negli USA, il Dodd-Frank Act impone simili requisiti ai commodity traders, ed in Europa si
avvierà un simile percorso con la MIFID II e la EMIR per banche e traders; il risultato saranno maggiori
necessità di capitale, aumento dei costi transazionali, conseguente aumento del
costo dei servizi e delle negoziazioni per gli investitori (privati ed
istituzionali). Inoltre, le
autorità di regolazione americane, che saranno seguite da quelle di altri paesi,
stanno stringendo le regole sul possesso fisico dei beni: a fronte dei
contratti finanziari dovrebbe esserci sempre un corrispondente ammontare di
merce stoccata negli immensi magazzini che esistono a New York, Chicago,
Londra, Shanghai, Singapore.
Quale
controvalore hanno, su base annua, i contratti sulle commodities? Le prime 10 tipologie di commodities, in termini di ammontare (e nelle prime 10 tipologie
non ci sono cereali e prodotti agricoli), vengono stimate in 9.341 miliardi di
US$, pari al 12,1% del PIL mondiale (oggi, 77.302 miliardi di US$). (fonte:
International Trade Centre). I cereali (frumento, mais, riso), nonostante la
loro importanza per l’alimentazione umana (e non solo) hanno un valore di mercato
inferiore, ai prezzi odierni e sulla base della produzione 2014, stimato dalla FAO
in 502 miliardi di US$.
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