Secondo uno studio McKinsey, il debito mondiale cumulato di
privati, famiglie, imprese, intermediari e governi è passato da 142.000
miliardi di US$ del 2007 a 199.000 miliardi di US$ a fine 2014 (ultimi dati aggiornati), crescendo
di 57.000 miliardi e rappresentando il 286% del PIL mondiale (era il 269% a
fine 2007), con una crescita annua del 6% circa. Per ogni debitore, c’è un
creditore, ed il debito cresce perché c’è qualcuno disponibile a concedere
prestiti: ed in una fase di ampia disponibilità di liquidità i tassi sono anche
particolarmente bassi, una “bonanza” per chi si indebita. In dettaglio, le
famiglie hanno aumentato la loro esposizione da 33.000 a 40.000 miliardi, le
imprese da 38.000 a 56.000 miliardi, gli intermediari finanziari da 38.000 a
45.000 miliardi, i governi da 33.000 a 58.000 miliardi; la crescita del debito
governativo è dovuta al massiccio intervento pubblico per far fronte a
salvataggi (bancari e non) ed a crescenti deficit pubblici. Il basso costo del
denaro ha quindi permesso alle singole economie di non collassare dopo la crisi
finanziaria scoppiata nel 2007 (che partì negli USA, scatenata dai sub-prime
loans immobiliari). In rapporto al PIL, vi sono differenze notevoli fra i
singoli paesi: se il Giappone ha oggi un rapporto debito/PIL di 3,9 volte, la
Russia è a 0,6 volte, l’India a 1,3 volte, la Germania a 1,8 volte, la Cina a
2,1 volte, gli USA a 2,4 volte. L’Italia a 2,7 volte. In Cina, il debito è
quadruplicato nel breve lasso di tempo considerato, con metà dei prestiti
andati a finanziare il mercato immobiliare, anche in uno scenario “soft” come
quello che si disegna a fine estate 2015 dopo la caduta delle borse cinesi
(sostenute dagli acquisti a leva, i c.d. “margin loan”, quindi debito, sia
bancario che “shadow banking”), che suonano come un campanello di fine
ricreazione.
E domani si passerà all’esame della sostenibilità nel tempo di
tutto questo debito mondiale: si annunciano voti insufficienti.
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