“” Leggo testi di
biologia e, come sempre, corro il rischio di diventare mistico: non è
inverosimile che tanta complessità, una tale perfezione servano a generare vite
così incomplete, così banali? Alle infinite e sofisticate reazioni che
avvengono in milioni di cellule e si coordinano affinché un uomo apra la bocca
non dovrebbero corrispondere manicaretti squisiti che entrano tra quelle
labbra? La raffinatezza che permette a un timpano di percepire vibrazioni dell’aria
e trasmetterle agli ossicini dell’orecchio medio per farle arrivare alle
cellule ciliate della coclea che le trasformano in elettricità affinché i nervi
le portino al cervello che le ricomporrà per informarci non meriterebbe che le
parole ascoltate fossero sempre musica? Il grado di evoluzione dei meccanismi
naturali – qui la mistica – non dovrebbe portarci a confidare in un grado
simile di evoluzione sociale? O, detto in modo meno lirico, ha senso che organismi
così complessi facciano una vita così di merda?””
Martin Caparròs, “La fame”, 2014-2015, pg 691
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