domenica 21 settembre 2014

Come sfuggire alla trappola della deflazione? L’esperienza degli anni Venti e Trenta.


“” Come sfuggire alla trappola della deflazione? Di fronte alla contrazione del commercio e al congelamento delle importazioni di capitale, la soluzione raccomandata da Keynes – investimenti governativi in opere pubbliche, finanziate con prestiti – appariva logica e sensata. Si rivelò utile abbandonare lo standard aureo (in forza del quale le valute avevano un tasso fisso di cambio con il dollaro), lasciare che la svalutazione ridesse slancio alle esportazioni (sebbene il commercio si svolgesse in misura sempre maggiore all’interno di blocchi regionali) e permettere la riduzione di tassi di interesse. Tuttavia, i governi parlamentari che adottavano unicamente queste misure non riuscivano a ottenere più di una stentata e anemica ripresa. La disoccupazione si riduceva in modo rapido e concreto soltanto quando i regimi autoritari attuavano ambiziosi piani di sviluppo industriale di riarmamento. Era proprio qui che il “socialismo in un solo paese” (in Russia) e il “nazionalsocialismo” (in Germania) sembravano offrire soluzioni migliori rispetto a quelle che potevano proporre le due grandi economie anglofone. L’Unione Sovietica fu il solo paese al mondo che, fra il 1929 e il 1932, registrò un incremento della produzione industriale; e quasi nessuno chiedeva quante persone morivano per ogni tonnellata di acciaio prodotta sotto Stalin (la risposta è diciannove). Hitler si stufò ben presto dei dati reali che gli esponeva il suo ministro dell’Economia Hjalmar Schacht: anziché rallentare il piano di riarmo prendendo atto delle difficoltà di bilancio (in sostanza, il fatto che la Reichsbank non possedeva sufficienti riserve d’oro per pagare le importazioni, il cui volume superava quello delle esportazioni), Hitler elaborò un Piano quadriennale a imitazione di quelli quinquennali di Stalin. I due regimi si trovavano ora in palese competizione (…). Sia Stalin che Hitler promettevano crescita e occupazione attraverso una combinazione di nazionalismo e socialismo. E mantennero la promessa. Nel 1938 in America la produzione era ancora del 6 per cento inferiore al livello massimo precedente la crisi del 1929; in Germania era del 23 per certo superiore, e in Unione Sovietica ancora maggiore, almeno stando alle statistiche ufficiali. Già nell’aprile 1937 in Germania il numero di disoccupati scese al di sotto del milione, in confronto ai 6 milioni di appena quattro anni prima. Nell’aprile 1939 meno di 100.000 tedeschi erano senza lavoro; insomma, si era quasi tornati a livelli di piena occupazione. Gli Stati Uniti rimanevano ancora molto indietro (…). In base ai parametri moderni, il tasso di disoccupazione nel 1939 era ancora del 12,5 per cento. Il problema era che la crescita assicurata dai regimi totalitari non si traduceva in un significativo aumento del tenore di vita dei loro sudditi. Il modello economico non era realmente keynesiano: non utilizzava l’incremento degli investimenti governativi per stimolare la domanda globale attraverso un moltiplicatore sulla spesa in consumi. Al contrario, l’economia pianificata mobilitava manodopera per impiegarla nell’industria pesante, nella costruzione di infrastrutture e nella produzione di armi; e finanziava queste attività con un risparmio forzoso. Di conseguenza i consumi ristagnavano. La gente lavorava e veniva pagata; tuttavia, dato che nei negozi c’erano sempre meno cose da comprare, non aveva altra scelta che depositare i propri soldi in conti di risparmio, che venivano poi utilizzati per finanziare i progetti governativi. “”

Niall Ferguson, Occidente, pagg. 267-268

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