“” Come sfuggire alla trappola della deflazione? Di fronte alla
contrazione del commercio e al congelamento delle importazioni di
capitale, la soluzione raccomandata da Keynes – investimenti governativi
in opere pubbliche, finanziate con prestiti – appariva logica e
sensata. Si rivelò utile abbandonare lo standard aureo (in forza del
quale le valute avevano un tasso fisso di cambio con il dollaro),
lasciare che la svalutazione ridesse slancio alle esportazioni (sebbene
il commercio si svolgesse in misura sempre maggiore all’interno di
blocchi regionali) e permettere la riduzione di tassi di interesse.
Tuttavia, i governi parlamentari che adottavano unicamente queste misure
non riuscivano a ottenere più di una stentata e anemica ripresa. La
disoccupazione si riduceva in modo rapido e concreto soltanto quando i
regimi autoritari attuavano ambiziosi piani di sviluppo industriale di
riarmamento. Era proprio qui che il “socialismo in un solo paese” (in
Russia) e il “nazionalsocialismo” (in Germania) sembravano offrire
soluzioni migliori rispetto a quelle che potevano proporre le due grandi
economie anglofone. L’Unione Sovietica fu il solo paese al mondo che,
fra il 1929 e il 1932, registrò un incremento della produzione
industriale; e quasi nessuno chiedeva quante persone morivano per ogni
tonnellata di acciaio prodotta sotto Stalin (la risposta è diciannove).
Hitler si stufò ben presto dei dati reali che gli esponeva il suo
ministro dell’Economia Hjalmar Schacht: anziché rallentare il piano di
riarmo prendendo atto delle difficoltà di bilancio (in sostanza, il
fatto che la Reichsbank non possedeva sufficienti riserve d’oro per
pagare le importazioni, il cui volume superava quello delle
esportazioni), Hitler elaborò un Piano quadriennale a imitazione di
quelli quinquennali di Stalin. I due regimi si trovavano ora in palese
competizione (…). Sia Stalin che Hitler promettevano crescita e
occupazione attraverso una combinazione di nazionalismo e socialismo. E
mantennero la promessa. Nel 1938 in America la produzione era ancora del
6 per cento inferiore al livello massimo precedente la crisi del 1929;
in Germania era del 23 per certo superiore, e in Unione Sovietica ancora
maggiore, almeno stando alle statistiche ufficiali. Già nell’aprile
1937 in Germania il numero di disoccupati scese al di sotto del milione,
in confronto ai 6 milioni di appena quattro anni prima. Nell’aprile
1939 meno di 100.000 tedeschi erano senza lavoro; insomma, si era quasi
tornati a livelli di piena occupazione. Gli Stati Uniti rimanevano
ancora molto indietro (…). In base ai parametri moderni, il tasso di
disoccupazione nel 1939 era ancora del 12,5 per cento. Il problema era
che la crescita assicurata dai regimi totalitari non si traduceva in un
significativo aumento del tenore di vita dei loro sudditi. Il modello
economico non era realmente keynesiano: non utilizzava l’incremento
degli investimenti governativi per stimolare la domanda globale
attraverso un moltiplicatore sulla spesa in consumi. Al contrario,
l’economia pianificata mobilitava manodopera per impiegarla
nell’industria pesante, nella costruzione di infrastrutture e nella
produzione di armi; e finanziava queste attività con un risparmio
forzoso. Di conseguenza i consumi ristagnavano. La gente lavorava e
veniva pagata; tuttavia, dato che nei negozi c’erano sempre meno cose da
comprare, non aveva altra scelta che depositare i propri soldi in conti
di risparmio, che venivano poi utilizzati per finanziare i progetti
governativi. “”
Niall Ferguson, Occidente, pagg. 267-268
Nessun commento:
Posta un commento