Indro Montanelli, diversi decenni orsono, visitò Israele e la
Palestina come inviato del Corriere della Sera. Ecco alcuni suoi appunti
di viaggio.
“”Per conto del «Corriere della Sera», sono stato due settimane in
Israele. Non c’ero mai andato. O, per meglio dire, c’ero passato un paio
di volte nei miei viaggi in Estremo Oriente, ma non mi ci ero mai
fermato. Stavolta la mia intenzione era di acquartierarmi a Gerusalemme
e, con l’aiuto dei miei amici israeliani, che su questo argomento la
sanno più lunga di chiunque altro, studiare tutta la situazione dei
paesi arabi, che circondano e minacciano il nuovo Stato ebraico. Ma,
dopo un paio di giorni avevo abbandonato il progetto, anzi me lo ero
completamente dimenticato, tutto preso com’ero dall’interesse che in me
suscitavano le cose locali. E, invece di restare nella capitale a
frugare negli archivi del ministero degli Esteri e a raccogliere le
confidenze dei vari servizi d’informazione su quanto avveniva oltre
confine fra i Nasser, i Kassem e gli Hussein, ho trascorso il mio tempo a
vagabondare tra le fertili piane dell’alta e della bassa Galilea e il
deserto di Negev. Il frutto delle mie osservazioni sono gli articoli che
compaiono sul «Corriere della Sera», e non intendo farne qui un
duplicato. Voglio soltanto spiegare ai miei lettori della “Domenica” per
quale motivo Israele mi ha fatto tanta impressione da indurmi ad
accantonare il programma che mi ero tracciato prima di venirci e su cui
avevo anche preso un preciso impegno col giornale. E il motivo è questo:
che finalmente in Israele ho visto documentata nei fatti una verità
nella quale, sotto sotto, avevo sempre creduto, ma di cui mi mancava la
prova: e cioè che non sono i paesi a fare gli uomini, ma gli uomini a
fare i paesi. Sicché quando si dice “zona sviluppata”, si deve
sottintendere uomini e popoli energici e attivi; e quando si dice “zona
depressa”, si deve sottintendere uomini e popoli depressi. Tutte le
altre ragioni della depressione – clima, idrografia, orografia, eccetera
– sono soltanto delle comode scuse quando non sono addirittura il
frutto dell’incapacità e dell’accidia umane.
I padri del deserto
Israele, finché è stato un paese arabo, cioè fino a una trentina di
anni or sono, era esattamente come l’Egitto (senza il Nilo), la
Giordania e l’Arabia Saudita, coi quali confina: una landa brulla e
assetata, senza un albero, un seguito di colline gialle e pietrose, su
cui le capre avevano divorato fin l’ultimo filo d’erba e di cui
gl’incontrastati signori erano i corvi e gli sciacalli. Di zone
cosiffatte nel paese ce ne sono ancora, intendiamoci, qua e là, a
chiazza. Sono quelle in cui gli arabi sono rimasti. Essi hanno l’acqua,
ora, perché gli ebrei sono andati a cercarsela nel fiume Giordano e nel
lago di Tiberiade. E con un sistema di acquedotti di lì l’hanno portata a
irrigare tutto il paese. E hanno anche i trattori, perché il governo
glieli dà. E hanno anche l’assistenza dei tecnici, perché lo Stato
glieli mette a disposizione. E hanno perfino, tutt’intorno, l’esempio e
la lezione pratica di come si fa a trasformare una terra arida e
inospitale in un paradiso di agrumeti, di boschi di pini e di cipressi,
di orti lussureggianti, di campi di grano e di cotone. Eppure, non ne
profittano, o ne profittano poco. I loro villaggi sono rimasti delle
cimiciaie spaventose, il loro aratro ancora a chiodo si limita a
grattare la superficie della terra senza preoccuparsi di ricrearvi un
“humus”, la loro accetta taglia spietatamente gli alberi, e le loro
capre divorano sul nascere ogni accenno di vegetazione. Essi non sono
affatto «i figli del deserto», come vengono chiamati nella retorica di
coloro che, dei paesi arabi, conoscono solo «Le mille e una notte». Ne
sono i padri. Essi non sono le vittime di un clima inclemente: «sono
quelli che lo hanno provocato e aggravato, soprattutto distruggendo i
boschi. E se soffrono la sete, bisogna dire che se la sono procurata
rinunziando per accidia a regolare le acque, a trattenere in serbatoi la
pioggia e a redistribuirla con canali. Finalmente ho capito perché gli
arabi odino tanto gli ebrei. Non è la razza. Non è la religione, che li
sobilla contro di essi. E’ l’atto di accusa, è la condanna, che gli
ebrei rappresentano, agli occhi di tutto il mondo, qui nelle loro stesse
terre, contro la loro ignavia, la loro mancanza di buona volontà,
d’impegno nel lavoro, di entusiasmo pionieristico, d’intelligenza
organizzativa.
Una grande avventura
Perché Israele dimostra ch’è proprio questo che manca alle zone
depresse del Medio Oriente. Sono gli uomini che le abitano, non la
natura o il buon Dio, che le hanno rese tali. gli ebrei le hanno prese
com’erano, cioè come sono gli altri paesi tutt’intorno: con quel sole
scottante, con quella mancanza di precipitazioni atmosferiche, con
quelle dune di sabbia, con quelle desolate brugheire, con quelle
moschee, con quella malaria. E in trent’anni di dura fatica, ogni
singolo posponendo il proprio tornaconto individuale all’interesse di
tutti, ogni generazione, sacrificando il proprio comodo al bene di
quelle successive, della zona depressa palestinese hanno fatto la
pianura padana. Oggi questo paese è in piena crisi di sovrapproduzione.
Non sa più dove mettere il suo grano, le sue uova, i suoi polli, il suo
cotone, i suoi aranci e i suoi pompelmi. La sua produzione di latte è,
proporzionalmente, la seconda del mondo, battuta soltanto da quella
olandese: il che significa che dalla pietraia ha tratto anche dei
meravigliosi pascoli. In trent’anni ha piantato oltre trenta milioni di
alberi, e chi si attenta a toccarne uno va in galera. E anche il clima
in trent’anni è cambiato, per effetto dei boschi e dell’irrigazione. E’
stata questa meravigliosa avventura umana che mi ha ipnotizzato, facendo
passare in seconda linea il mio interesse (e purtroppo anche quello del
giornale) sulla politica mediorientale. Perché essa rispondeva proprio,
con fatti clamorosi e incontestabili, alla domanda che mi ero sempre
posto: e cioè se siano i paesi a fare gli uomini, o gli uomini a fare i
paesi. Amici miei, sono gli uomini a fare i paesi: gli uomini e soltanto
gli uomini, la loro volontà, la loro fatica, la loro capacità di
credere e di sacrificarsi per ciò che credono. Le zone depresse esistono
soltanto lì, nel loro animo rassegnato, nel loro muscoli fiacchi, nel
loro indolente cervello, nella rinunzia alla lotta, nella morale del
«tira a campà» e del «chi me lo fa fare», insomma nella mancanza di un
senso religioso della vita, e quindi nella disposizione a trarne
soltanto profitti e godimenti immediati. Ecco, questo mi ha dimostrato
Israele. E mi è parso più importante della politica del Nasser, del
kasse, e degli Hussein. “”
(Indro Montanelli – Domenica del Corriere)
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