Nel 2013, i fondi di VC europei hanno raccolto 4.000 milioni di euro, per il 40% da programmi sostenuti dalla UE e dai singoli paesi, per meno del 25% da investitori privati, per oltre il 10% da società di gestione di patrimoni, per meno del 5% da banche. L’ European Investment Fund (EIF), una agenzia finanziata dalla UE, da sola ha messo a disposizione 600 milioni per finanziare le “start-up” europee.
La storia dei fondi di VC europei mostra rendimenti sul capitale investito significativamente inferiore ai fondi USA: dal 1990, il rendimento annuo è stato del 2,1% in Europa, contro il 13% dei fondi USA nello stesso periodo (The Economist, “European Venture Capital. Innovation by fiat”).
L’inadeguato “return” dei fondi europei sembra legato sia ad investimenti meno “performanti” rispetto a quelli in cui hanno investito i fondi USA, sia al fatto che i fondi europei, ed in particolare quelli sostenuti dalla mano pubblica, disinvestono troppo presto dalle “start-up”, perdendo quindi quel “quid pluris” che viene dopo la prima fase pionieristica: e quel “quid pluris” è proprio il premio che i VC privati si attendono.
I fondi governativi sembrano più sostenitori delle “start-up” nei loro primi passi, per poi passare alle prossime “start-up”, ma questo “modus operandi” è proprio quanto i VC privati rifuggono: “we want the tree and the apples”. L’”intellighenzia” politica europea ha riposto grandi aspettative nel VC per creare nuova occupazione, cercando di sostenerla con programmi come l’EIF; ma gli investitori privati (fondi pensione, milionari e banche) non sono stati sinora “simpatetici” con quanto vagheggiato dai burocrati europei, preferendo non destinare il proprio denaro ai fondi sostenuti e “sponsorizzati” dalla mano pubblica. Una prima ragione attiene al diverso obiettivo di fondo: politica e governanti vogliono vedere nuova occupazione, spesso in determinati settori ed in certi paesi; gli investitori tipici del VC rifuggono da obiettivi indicati dalla politica: “I undertand why governments invest in venture capital, but they are spoiling it for the rest of us”, nelle parole di un veterano del settore privato.
Una evidenza fattuale è che per ogni euro investito da fondi di VC sponsorizzati dalla mano pubblica, il settore privato ne disinveste uno; questo è un serio problema per il settore e per le iniziative in cui si investe.
Una seconda ragione sembra legata alla diversa percezione della qualità degli investimenti di VC fatti da fondi pubblici e privati: come esempio viene citato proprio EIF che ha sinora investito 3.800 milioni in 260 fondi di VC ed iniziative “start-up”, ma non ne fornisce dati, risultati, prospettive.
Ulteriore ragione è indicata nella legislazione sul lavoro in Europa, pensata per grandi imprese e non per le piccole: il caso esemplare è la normativa sulle “stock options” che sono la “carota” per gli “start-uppers” USA e che vengono quindi favorite dalle leggi fiscali di quel paese, mentre in Europa troppo spesso sono viste con disfavore dai singoli sistemi fiscali nazionali.
Nelle parole di un altro veterano, i fondi sponsorizzati dai governi “servono il piatto principale prima che la tavola sia imbandita a dovere”.
I fondi “governativi” sono visti spesso come fondi gestiti da burocrati e quindi inefficienti “per natura e destinazione”; se vogliono trovare una migliore “ragion d’essere” in un mercato che premi innovazione, intraprendenza, coraggio, dovranno seguirne le mosse e diventare assai più “privati” e, come dicono gli inglesi, “put the money where the mouth is”.
La storia dei fondi di VC europei mostra rendimenti sul capitale investito significativamente inferiore ai fondi USA: dal 1990, il rendimento annuo è stato del 2,1% in Europa, contro il 13% dei fondi USA nello stesso periodo (The Economist, “European Venture Capital. Innovation by fiat”).
L’inadeguato “return” dei fondi europei sembra legato sia ad investimenti meno “performanti” rispetto a quelli in cui hanno investito i fondi USA, sia al fatto che i fondi europei, ed in particolare quelli sostenuti dalla mano pubblica, disinvestono troppo presto dalle “start-up”, perdendo quindi quel “quid pluris” che viene dopo la prima fase pionieristica: e quel “quid pluris” è proprio il premio che i VC privati si attendono.
I fondi governativi sembrano più sostenitori delle “start-up” nei loro primi passi, per poi passare alle prossime “start-up”, ma questo “modus operandi” è proprio quanto i VC privati rifuggono: “we want the tree and the apples”. L’”intellighenzia” politica europea ha riposto grandi aspettative nel VC per creare nuova occupazione, cercando di sostenerla con programmi come l’EIF; ma gli investitori privati (fondi pensione, milionari e banche) non sono stati sinora “simpatetici” con quanto vagheggiato dai burocrati europei, preferendo non destinare il proprio denaro ai fondi sostenuti e “sponsorizzati” dalla mano pubblica. Una prima ragione attiene al diverso obiettivo di fondo: politica e governanti vogliono vedere nuova occupazione, spesso in determinati settori ed in certi paesi; gli investitori tipici del VC rifuggono da obiettivi indicati dalla politica: “I undertand why governments invest in venture capital, but they are spoiling it for the rest of us”, nelle parole di un veterano del settore privato.
Una evidenza fattuale è che per ogni euro investito da fondi di VC sponsorizzati dalla mano pubblica, il settore privato ne disinveste uno; questo è un serio problema per il settore e per le iniziative in cui si investe.
Una seconda ragione sembra legata alla diversa percezione della qualità degli investimenti di VC fatti da fondi pubblici e privati: come esempio viene citato proprio EIF che ha sinora investito 3.800 milioni in 260 fondi di VC ed iniziative “start-up”, ma non ne fornisce dati, risultati, prospettive.
Ulteriore ragione è indicata nella legislazione sul lavoro in Europa, pensata per grandi imprese e non per le piccole: il caso esemplare è la normativa sulle “stock options” che sono la “carota” per gli “start-uppers” USA e che vengono quindi favorite dalle leggi fiscali di quel paese, mentre in Europa troppo spesso sono viste con disfavore dai singoli sistemi fiscali nazionali.
Nelle parole di un altro veterano, i fondi sponsorizzati dai governi “servono il piatto principale prima che la tavola sia imbandita a dovere”.
I fondi “governativi” sono visti spesso come fondi gestiti da burocrati e quindi inefficienti “per natura e destinazione”; se vogliono trovare una migliore “ragion d’essere” in un mercato che premi innovazione, intraprendenza, coraggio, dovranno seguirne le mosse e diventare assai più “privati” e, come dicono gli inglesi, “put the money where the mouth is”.
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