“” La società dei consumi non era particolarmente più sviluppata
che in altri paesi dell’Europa nordoccidentale. Anche il livello e la
diffusione della conoscenza scientifica non erano significativamente
superiori. Nel corso del XVIII secolo si erano compiuti decisivi
progressi anche in altri settore dell’economia britannica, per esempio
in quello agricolo, finanziario e commerciale; ma non appare
automaticamente ovvio che tali progressi avrebbero innescato
un’esplosione di investimenti per l’aumento di produttività nella
manifattura del cotone, nell’industria siderurgica e nella generazione
di forza vapore. (…) Non appare convincente la tesi secondo la quale le
istituzioni politiche o giuridiche britanniche (…) fossero più adatte
allo sviluppo industriale rispetto a quelle olandesi, francesi o
tedesche. Agli osservatori di allora, la situazione del sistema politico
e giuridico britannico nei fondamentali decenni del decollo industriale
appare l’opposto di condizioni favorevoli allo sviluppo di un’industria
ancora in fasce. (…) La Gran Bretagna si differenziava dagli altri
paesi dell’Europa nordoccidentale per due aspetti che permettono di
comprendere più a fondo la Rivoluzione industriale. Il primo consiste
nel fatto che la manodopera era nettamente più cara che sul continente,
anzi, più che in qualsiasi altro luogo sul quale possediamo della
documentazione. Nella seconda metà del XVIII secolo il salario reale di
un operaio parigino corrispondeva a poco più della metà di quello di un
suo collega londinese. A Milano, i salari reali ammontavano ad appena il
26 per cento di quelli londinesi. (…) Il secondo aspetto è dato dal
fatto che in Gran Bretagna il carbone era abbondante e facilmente
accessibile, e quindi molto meno costoso che sull’altra sponda della
Manica. Tra gli anni Venti e gli anni Sessanta dell’Ottocento la
produzione delle miniere britanniche di carbone quadruplicò e il prezzo
per tonnellata si ridusse di un quarto. Insieme, questi due fattori
spiegano perché gli imprenditori britannici erano molto più stimolati di
quelli continentali a favorire l’innovazione tecnologica. In Gran
Bretagna, più che in qualsiasi altro paese, risultava vantaggioso
sostituire il costoso lavoro degli operai con macchinari alimentati
dall’economico carbone. Come la Rivoluzione francese, la Rivoluzione
industriale si propagò in tutta Europa. Ma questa volta fu una conquista
pacifica. I grandi inventori non riuscirono in genere a proteggere
quelli che oggi si chiamerebbero i loro diritti di proprietà
intellettuale. Con sorprendente rapidità, la nuova tecnologia fu quindi
copiata e replicata sul continente e sull’altra sponda dell’Atlantico.
(…) Occorsero appena due anni ai francesi per copiare il motore a vapore
di Watts. (…) (al)le prime locomotive a vapore (…) sono occorsi appena
cinque anni per attraversare l’Atlantico e invece dodici per arrivare in
Germania (…). Alla fine del XIX secolo, quindi,
l’industrializzazione marciava a pieno regime lungo due ampi assi
portanti: il primo si estendeva attraverso il Nordest americano (…); il
secondo partiva da Glasgow e giungeva fino a Varsavia e persino Mosca.
Nel 1800, sette delle dieci città più grandi del mondo si trovavano
ancora in Asia, e le dimensioni di Pechino superavano quelle di Londra.
Nel 1900, in conseguenza soprattutto della Rivoluzione industriale,
soltanto una di esse era in Asia e tutte le altre in Europa e in
America. “”
Niall Ferguson, Occidente, pagg. 237-238.
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