L’associazione delle banche estere ha presentato l’Osservatorio sull’attrattività dell’Italia per gli investitori esteri: voto 33,2, su una scala sino a 100.
Il valore basso “che può migliorare soltanto attuando efficaci e credibili politiche di sviluppo e creando un sistema-Paese capace di dare certezze, soprattutto in materia fiscale e giuridica” è motivato da eccesso di burocrazia (indicato come prima causa dal 27% degli interpellati e in totale indicato dal 55% delle citazioni del campione composto da fondi di private equità, fondi sovrani, camere di commercio estere, studi legali e società di consulenza internazionali), scarsa flessibilità del mercato del lavoro (14% di citazioni come prima causa, e 41% del totale), incertezza del quadro normativo (14% di prima causa, e 32% del totale), tempi della giustizia civile (9% di prima causa, e 50% del totale).
Al primo posto per attrattività gli Stati Uniti (voto 91 su una scala sino a 100), seguiti da Germania (77), Cina (73), Gran Bretagna (64), India (59), Brasile (50).
Lo studio dimostra che “siamo ancora indietro rispetto agli altri paesi con una valutazione sull’attrattività che è la metà di USA e Germania”; ed “oggi la competizione non è con i Paesi che producono a basso costo.
Le grandi multinazionali non cercano basso costo del lavoro, ma qualità di produzione ed efficienze di servizi che un Paese può offrire loro”.
Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto?
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