Le fondazioni più importanti sono al Nord Ovest: esse rappresentano il 74.7% del patrimonio totale, e le 18 fondazioni più grandi hanno un patrimonio cumulato di 31.000 milioni (dati tratti dal 18esimo rapporto curato dall’Acri).
Al 31.12.2012 il patrimonio cumulato di tutte le fondazioni era 48.183 milioni, cresciuto al tasso annuo del 1.5% dal 2000, rispetto ad una inflazione annua del 2.2%. Il totale degli impieghi (attivo) delle fondazioni è di 51.002 milioni a fine 2012, e le principali voci sono: 20.200 milioni partecipazioni bancarie, 21.000 milioni strumenti finanziari (investimenti).
I proventi incassati dall’universo fondazioni sono stati 1.535,6 milioni nel 2012 (in crescita del 24% sul 2011) di cui 445,4 milioni rappresentati da dividendi distribuiti dalle banche partecipate. Gli oneri di gestione (inclusi costi del personale di 61,3 milioni, per totali 1.026 dipendenti ed una media di 11,6 dipendenti per fondazione) sono 410,7 milioni, pari al 26.7% dei proventi totali. Le spese di gestione degli organi statutari (consigli di indirizzo e di gestione) hanno avuto una crescita costante: pari all’1.5% nel 2005 sui proventi, nel 2012 sono raddoppiate al 3%, con un peso superiore nelle fondazioni piccole (8.1%) e medio-piccole (7.4%) e nel Sud (6.5%).
A fronte di tali proventi, nel 2012 le fondazioni hanno erogato, nel rispetto dei settori di destinazione ed intervento, 965,8 milioni su 22.204 interventi sul territorio, con una media di erogazione per fondazione di 11 milioni, maggiore nel Nord Ovest (24,3 milioni) e minore al Sud (3,4 milioni); la media dei singoli interventi è stata di 39.000 euro nel 2012. Negli ultimi 10 anni le erogazioni totali sono state 15.600 milioni, e con trend calante negli anni: 1.366 milioni nel 2010, 1.092 nel 2011, con quote importanti nella salute pubblica e arte e beni culturali (ciascun settore conta circa il 30% delle erogazioni).
Nel 2011 le fondazioni hanno ricapitalizzato, complessivamente, le banche conferitarie per 1.270 milioni.
Costose, limitate nella capacità di incidere con interventi seri sul territorio, vista la relativa modesta dimensione dei singoli interventi (39.000 euro), con un patrimonio largamente ancora concentrato nelle partecipazioni bancarie, con una insufficiente diversificazione degli investimenti (ad esclusione di casi come C.R Roma che non ha più investimenti bancari, Compagnia San Paolo col 65% del patrimonio investito fuori dalla banca, Cariplo).
Le 10 fondazioni con maggiore patrimonio sono Cariplo (6.551 milioni), Compagnia San Paolo (5.622 milioni), C.R. Verona e Vicenza (2.654 milioni), C.R. Torino (1.917 milioni), C.R. Padova e Rovigo (1.745 milioni), Roma (1.445 milioni, senza partecipazioni bancarie), C.R. Cuneo (1.330 milioni), C.R. Firenze (1.305 milioni), C.R. Lucca (1.183 milioni), C.R. Genova e Imperia (1.013 milioni). La fondazione più “povera” è quella del Monte di Pietà di Vicenza con 1,7 milioni.
Il patrimonio delle fondazioni è ben investito? In caso di necessità di capitale da parte delle banche conferitarie, gli azionisti fondazioni hanno mezzi sufficienti, e volontà, di sottoscrivere nuovo capitale? Ne hanno la possibilità giuridica e la convenienza? Che cosa accade se le fondazioni non incassano dividendi sufficienti a sostenere i rispettivi piani di erogazione sul territorio? Riducendo la capacità di erogazione sul territorio, viene ridotta la loro missione di sussidiarietà sul territorio e relativo peso nell’ambito socio-politico locale.
Il patrimonio delle fondazioni è generalmente investito in modo sotto-ottimale, con una componente derivante da investimenti finanziari (tendenzialmente “sicuri”) che sono diminuiti dal 75.6% del totale dei proventi al 64.4% del 2010, 46.3% nel 2011, per risalire al71% nel 2012 (anche a causa della riduzione dei dividendi incassati).
Le fondazioni potrebbero essere chiamate a sottoscrivere nuovo capitale delle banche conferitarie; esse peraltro hanno una limitata “capacità di investimento” e si trovano dinanzi a possibili aumenti di capitale a prezzi spesso molto inferiori a quelli di carico (in bilancio) che ne ridurrebbero il peso azionario, con relativa diluizione dell’azionariato.
Le 7 principali banche (IntesaSanPaolo, Unicredit, BPM, MPS, Bper, Pop. Sondrio, Ubi) hanno portato a perdita 34.319 milioni totali fra il 2011 ed il 2012; dopo tali interventi “monstre” i crediti deteriorati sul patrimonio delle banche sono ancora significativi (MPS 3 volte il patrimonio); le 9 banche principali hanno avuto un risultato corrente cumulato negativo di 2.793 milioni nel 2012, con un patrimonio finale di 160.578 milioni su 1.397.779 milioni di crediti (pari all’11.5% dei crediti); ma ulteriori perdite potrebbero realizzarsi: le rettifiche fatte ai crediti anomali coprono il 37.9% dei crediti erogati e quelle fatte sui crediti in sofferenza (dove le aspettative di recupero sono basse) coprono il 54.1%.; i crediti in sofferenza sono, a livello di sistema bancario italiano, il 13% dei crediti, circa 181.700 milioni; se si volesse provvedere ad una integrale copertura delle sofferenze bancarie con capitale proprio (secondo ragionevoli e corretti criteri, cui è peraltro possibile allontanarsi per decisione degli amministratori), si dovrebbe metter mano alla raccolta di nuovo capitale in misura pari al 45.9% dei 181.700 milioni di crediti in sofferenza: ciò significherebbe un “deficit” di capitale di 83.500 milioni, a livello di sistema bancario, per riportare lo stesso ad una adeguato rapporto patrimonio/crediti erogati totali. Le fondazioni bancarie potrebbero coprire ¼ di tale fabbisogno, nel caso liquidassero tutti gli investimenti in strumenti ed investimenti finanziari (ipotesi peraltro irrealistica).
Le fondazioni non hanno mezzi adeguati per sostenere le banche conferitarie partecipate, anche se lo volessero. Le banche hanno necessità di capitale, almeno per una parte considerevole dell’ammontare indicato (83.500 milioni) e potranno trovarlo solo attraverso operazioni sul mercato con raccolta di nuovo capitale (cosa che porterà le fondazioni in posizione minoritaria ed a perdere il controllo).
La missione di mantenere voce in capitolo per le fondazioni ci sembra una “missione impossibile”. Nel modo meno glorioso, le banche troveranno nuovi assetti societari, patrimoniali, di controllo.
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