In tempi di “spending review”
il “maxi-buco” della regione piemontese irrompe sul tavolo del governo;
nell’ottobre 2014 la Corte dei Conti ha rilevato che il deficit della regione
nel consuntivo 2013 non era di 365 milioni (come dichiarato dalla giunta allora
al comando) ma di 5.200 milioni; la differenza era dovuta all’utilizzo
(bocciato dalla Corte Costituzionale) da parte della regione di 2.250 milioni
dei fondi “sblocca debiti” (che dovevano servire a pagare vecchi debiti di
fornitura iscritti in bilancio alla voce “residui”) utilizzati per sostenere
nuove spese correnti (contrarie all’art 119 della Costituzione che vieta di
indebitarsi per finanziare spesa corrente); e per l’iscrizione fuori bilancio
di altri 2.300 milioni di debiti, che invece dovevano esservi iscritti. Contravvenendo
alla vulgata della “frugalità sabauda”, il Piemonte ha continuato per anni a
spendere molto più di quanto fosse possibile, con un uso non corretto dei fondi
che nel 2014 il MEF aveva anticipato alle regioni per sanare vecchi debiti coi
fornitori. Questi fondi, che devono essere restituiti (e la risposta al “come”
viene prima del “quando”), non dovevano cambiare i risultati di bilancio (come
invece fatto dal Piemonte) ed ora tocca al governo risolvere il problema che
non è limitato al Piemonte ma coinvolge altre regioni che hanno avuto accesso a
complessivi 20.000 milioni di fondi “sblocca debiti” (come il Lazio, che ha
beneficiato di 8.700 milioni di trasferimenti). La corsa del debito a tutto
gas, questa volta, rischia di finire contro il muro.
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