Negli USA, secondo un recente studio, il 65% dei volumi
delle transazioni azionarie è fatto tramite algoritmi gestiti da robot (trading
algoritmico): era il 25% nel 2005, ha superato il 50% nel 2009; per tipologia
di asset finanziario, se il 65% delle transazioni azionarie è gestito da
software specializzati, le percentuali sono del 48% per i futures, del 38% per
le valute, del 26% per le opzioni, del 10% per le obbligazioni. In Europa il
trading algoritmico copre il 42% delle transazioni (era il 3% nel 2014). Con la
sempre maggiore disponibilità di informazioni (i c.d. “big data”) è quasi
infinita la mole di dati su cui “costruire” algoritmi, teorie, processi di
investimento e disinvestimento, tutti troppo difficili da interpretare per
l’operatore “umano” che inoltre è spesso irrazionale nelle sue decisioni;
l’utilizzo di sistemi ed algoritmi tende quindi a massimizzare i benefici,
minimizzare i rischi, eliminare il “bias”, il pregiudizio, individuale. Lo sviluppo
del trading algoritmico è anche legato all’introduzione della MIFID, la
regolamentazione europea che richiede la “best execution” delle transazioni,
mettendo in competizione piattaforme di transazione ed esecuzione delle
operazioni finanziarie che devono assicurare l’esecuzione del singolo ordine in
tempo reale ed alle migliori condizioni di prezzo e costo del servizio,
portando allo sviluppo così prepotente della macchina sull’uomo.
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