In Italia vivono 5 milioni di immigrati (di cui 2,4 milioni regolari), che hanno necessità e
desiderio di trasferire denaro alle famiglie lontane che vivono in Romania,
Cina, paesi nord-africani. Nel 2013, le rimesse sono state 5,4 miliardi di
euro, con una media di 1.083 euro annui per ciascun immigrato (con un massimo
di 3.190 euro per i cittadini cinesi); i flussi nel 2014 sono calati in modo
significativo del 26% a 4 miliardi, calo legato alla maggiore precarietà del
lavoro, alla crisi, a fenomeni di ricongiunzione familiare, ma anche ad una
maggiore azione di controllo sui flussi finanziari (“money transfer”) da parte
delle autorità (guidate dall’Ufficio di Informazioni Finanziarie, UIF). I
trasferimenti avvengono prevalentemente nei piccoli negozi (i c.d. “mama’s &
papa’s”) che offrono una pluralità di servizi, dai trasferimenti di denaro a
quelli telefonici ai prestiti informali, con costi transazionali elevati,
largamente superiori al 5% che dovrebbe essere un obiettivo realistico, seppure
elevato ed esoso, per i trasferimenti multi-valuta (tenuto conto della
parziale, od assente, convertibilità delle valute dei paesi di destinazione,
come la Cina). Le autorità “tengono d’occhio” le attività di “money transfer”
ove si annidano troppo spesso attività di riciclaggio; il limite giornaliero di
1.000 euro per i singoli trasferimenti, se confrontato con la media annua dei
trasferimenti effettuati dagli immigrati, sembra “fuori dimensione massima” e
tale da non incidere in modo efficace per ridurre i rischi di riciclaggio
nascosti nei flussi verso l’estero, camuffati nelle rimesse dal lavoro e dalle
attività di impresa.
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