domenica 21 settembre 2014

Dai il tuo contributo, compagno!


Oriana Fallaci descrisse la sua esperienza col sindacato degli attori USA, dove viveva, nel marzo 1967; forse alcune cose sono cambiate da allora, forse no, negli USA;  chi volesse fare un confronto con la evoluzione e la storia sindacale nel frattempo intervenuta in Italia potrà trovare interessante la lettura dell’articolo scritto da Oriana Fallaci per l’Espresso, pubblicato il 16 marzo 1967 e qui si seguito parzialmente riprodotto (e che potrete anche leggere in “Viaggio in America”, appena edito): al peggio non c’è limite, come ben sappiamo, “my dear fellow”..

“”caro direttore, (…) la televisione americana, di solito, paga assai bene. E il Tonight Show paga benissimo. Il Tonight Show è lo spettacolo televisivo più popolare d’America. Va in onda ogni sera in ogni Stato dell’Unione, con un certo Johnny Carson che intervista la gente più assurda, attori, cantanti, prestigiatori, scrittori, campioni sportivi, vedove celebri, famosi assassini, e li paga ciascuno con un minimo si dollari 320. Un prezzo garbato se pensi che si trattava di star lì soltanto 12 minuti a parlare di un mio libro appena uscito quaggiù, If the Sun Dies, e così andai, parlai, descrissi al popolo degli Stati Uniti la necessità di cercare altri Soli se il Sole muore, tornai a casa con la precisa coscienza di non averli convinti granché ma di aver intascato 320 dollari, vale a dire la somma che pago al mese per un microscopico appartamento in Manhattan. Riscattata, purgata. Finché giunse l’assegno. Un assegno di 20 dollari soli. Naturalmente pensai a un errore. E in tal convinzione chiamai il Tonight Show, dissi loro che avevo avuto l’assegno ma che c’era un errore. Risposero che non c’era errore: dei 320, 90 li avevano presi per le tasse. “90?”, “eh, sì”, “capisco. Ma il resto? 320 meno 90 fa 230. 230 meno 20 fa 210. Chi ha preso quei 210?” “bè, i sindacati”, “che sindacati?!”. “il sindacato dei performer, insomma degli attori. In particolare, l’American Federation of Television and Radio Artists detta AFTRA”. “ma io non sono un performer, io non appartengo all’AFTRA”. “sì, invece”. “guardi, si sbaglia”. “non ci sbagliamo: lei ha firmato perfin la domanda per essere ammessa”. “io?! Quando?”. “prima d’entrare in scena”. In realtà, il mio ricordo è confuso, qualche secondo prima di entrare in scena qualcuno mi aveva porto fogli dicendo: “firmi qui,svelta. Si tratta di una trascurabile formalità”. E io in preda al panico, alla vergogna di apparire su uno schermo per soldi, pensando che si trattasse davvero di una formalità, avevo firmato. A occhi chiusi. “ma 230 dollari! Oltre due terzi del mio onorario! È pazzesco!”. “ah! Lei è stata fortunata, carissima. A una signora inglese son rimasti solo 6 centesimi. Lo chieda all’AFTRA”.
Il direttore dell’AFTRA (…) fu gentilissimo. Ebbe la bontà di informarmi che per apparire in uno spettacolo, qualsiasi spettacolo, bisognava appartenere ad un sindacato dello spettacolo, e il miglior sindacato che un performer potesse desiderare era l’AFTRA dove iscriversi costava appunto 210 dollari. “ma io non sono un performer (…). Io sono un giornalista, uno scrittore”. Pazientemente (…) mi spiegò che molti giornalisti, molti scrittori, erano anche performer, che insomma una attività non escludeva l’altra (…)”. “(…) io voglio soltanto i miei 210 dollari”. (…) Impossibile continuare il discorso. Mi avrebbe scritto una lettera. E l’indomani mi scrisse la lettera. Due fogli amichevoli e pieni di in cui cominciava chiedendo notizie sulla mia salute, continuava narrandomi i negoziati che l’AFTRA stava facendo sui congressi di Washington, Chicago, Los Angeles e concludeva chiedendomi altri 20 dollari tondi. Come sapevo, i 210 dollari si limitavano all’iscrizione che decadeva senza un contributo mensile. Che gli inviassi quindi altri 20 dollari insieme al mio nome legale, il mio nome d’arte, la mia data di nascita, il nome di mio marito o mia moglie, il nome dei miei bambini, la mia data di matrimonio per controllare (suppongo) che si trattasse di bambini legittimi, il numero della mia polizza di assicurazione sulla vita.
La mia risposta, lo ammetto, fu assai violenta. Debuttava dicendo che non avevo polizza di assicurazione, non avevo moglie, non avevo marito, non avevo bambini, non avevo un nome d’arte, avevo solo da porgli una domanda: qualcuno m’aveva detto che i sindacati sono una cosa la quale serve a difendere i lavoratori dai capitalisti, ad esempio, facendoli guadagnare di più. Ammesso e non concesso che fossi un performer, in quale modo il sindacato dei performer mi difendeva dai capitalisti, sottraendo con la frode i soldi che mi davano i capitalisti? E chi mi difendeva dai sindacati che mi difendono dai capitalisti? C’era forse un sindacato cui potevo denunciare gli abusi del mio sindacato? “(…) non le manderò i 20 dollari. Perché se è vero che appartengo all’AFTRA, io esco dall’AFTRA. E siccome esco dall’AFTRA, rivoglio i 210 dollari che non ho mai accettato, mai, di versare”. La risposta alla risposta fu ancora più violenta. Diceva: “se ella non paga i 20 dollari, ella vien meno a un impegno firmato e questo sindacato si vede costretto ad agire nei suoi confronti per vie legali, inoltre a confiscarle i 210 dollari dell’iscrizione”.
Direttore, ho pagato i 20 dollari.
(…) ogni giorno mi giungono opuscoli, letterine, disposizioni dell’AFTRA. Su carta di riso, con uno stemma dove si vede un microfono, un’antenna televisiva e un violino. Le letterine incominciano con: “dear fellow Aftran…”. Caro compagno Aftran… Stamani me ne è giunta una dal presidente (…). Mi informava che stiamo avviandoci verso uno sciopero: “se i capitalisti che sfruttano i buoni performer non la smettono subito, noi entriamo in sciopero. V’è una febbrile attività nel comitato dello sciopero, Strike Committee: devi dare, compagno (“fellow”, n.d.r.), il tuo contributo”. “”

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