domenica 21 settembre 2014

La medicina dei tropici.


“” Come tutte le buone amministrazioni coloniali, i francesi mantennero una documentazione impeccabile. Negli archivi nazionali di Dakar si può ancora leggere ogni dettaglio su tutti i casi di epidemie scoppiate in Africa occidentale: febbre gialla in Senegal, malaria in Guinea, lebbra in Costa d’Avorio. Bollettini sanitari, leggi sanitarie, missioni sanitarie: la sanità, sembrerebbe, era la vera ossessione dei francesi. E perché non avrebbe dovuto esserlo? Bisognava pur trovare un modo per tener sotto controllo queste malattie. Come disse Sir Robert William Boyce nel 1910, la questione della presenza europea ai tropici si riduceva in sostanza alla seguente alternativa: “O le zanzare o l’uomo”. “Il futuro dell’imperialismo” per citare le parole di John L. Todd “stava sul vetrino di un microscopio”. Ma i progressi fondamentali non sarebbero stati compiuti nei pulitissimi laboratori delle università e delle compagnie farmaceutiche occidentali. (…) non era certo una fantasia immaginarsi uomini di scienza che si addentravano nella giungla. I ricercatori che si occupavano di malattie tropicali aprirono laboratori nelle più remote colonie dell’Africa (…). Qui si sperimentavano vaccini su cavie animali: su ottantadue gatti quello per la dissenteria, su undici cani quello per il tetano. Altri laboratori studiavano il colera, la malaria, la rabbia e il vaiolo. (…) L’impero ispirò un’intera generazione di innovatori europei nel campo della medicina. (…) questi progressi, e altri ancora, concentrati nel periodo che va dagli anni Ottanta del’Ottocento fino agli anni Venti del Novecento, ebbero un’importanza cruciale per tenere in vita gli europei ai tropici, e quindi anche per la sopravvivenza dell’intero progetto coloniale. L’Africa e l’Asia erano diventate giganteschi laboratori per la medicina occidentale. E quanto più la ricerca aveva successo, con l’invenzione di nuovi e più efficaci rimedi (…), tanto maggiormente potevano espandersi gli imperi occidentali e, insieme a essi, il supremo beneficio di una vita più lunga.””

(Niall Ferguson, Occidente, pgg. 200-201)

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