domenica 21 settembre 2014

Maestà, non ci riuscirà.

Chiesa cattolica e cattolicesimo attraversano periodi non facili; i problemi, tanti, necessitano di adeguate cure, materiali e morali. Ci sia consentito utilizzare un paradosso per dare un contributo “laterale” al tema.
Chi guardasse alla situazione della Chiesa in una ottica aziendale, come se fosse una società (cosa che per molti essa è, perseguendo obiettivi etico-religiosi accanto ad altri più mondani, come la gestione del patrimonio immobiliare e mobiliare, di notevoli dimensioni entrambi, e variamente diversificato per paesi e tipologie), ed esaminasse la “performance” della Chiesa stessa sino a pochi mesi orsono (una inezia, per l’orizzonte temporale della Chiesa, eterno) sotto la guida di un buon pastore di scuola teutonica, ne avrebbe ricavato più o meno la seguente valutazione.
… se la Chiesa Cattolica fosse una società quotata, essa sarebbe candidata al takeover (ndr: acquisto da parte di società terza): le vendite sono in calo, i fedeli non visitano gli outlets, i prodotti giacciono sugli scaffali invenduti e vecchi, la forza vendita non viene rinnovata, marketing e messaggi sono vecchi e ripropongono modelli che “non tirano”, la società ha disponibilità finanziarie elevate ma non ci sono progetti di investimento, il mercato punisce il titolo che ha un prezzo sempre calante e gli investitori non sembrano interessati all’azione, la redditività è in calo, figure carismatiche non ci sono più, il rinnovo aziendale è bloccato da un consiglio di amministrazione diviso, il brand perde appeal…
Che fare? Cedere alle lusinghe dell’unico acquirente possibile (l’Islam…) o fare una cura da cavallo e cambiare management, strategia, prodotti e messaggio?…
La scelta è stata quella di non cedere alle lusinghe, ma trovare un nuovo, più dinamico CEO (Chief Executive Officer, o più banalmente Church Executive Officer) che si è dedicato, già dai primi 100 giorni (mica 1.000, eh!), a pochi, esemplari compiti: mettere in ordine la struttura finanziaria del gruppo; cambiare la politica di marketing e comunicazione; “serrare le fila” dei dipendenti (sacerdoti, preti, suore); puntare su nuovi mercati geografici, dove il potenziale di crescita è maggiore (anche per la dinamica demografica delle aree di rinnovato, o nuovo, interesse), e quindi “a tavoletta” su America del Sud ed Asia, ormai il “core business”; lasciare alla “concorrenza” prodotti od aree geografiche dove il potenziale di crescita non c’è e dove il “mercato” è comunque aggredito e colpito violentemente (in troppi modi …) dai concorrenti più dinamici, come il Medio Oriente, definibile ormai come “dead dog” (o “tabula rasa”?).
Ogni nuova politica aziendale ha i suoi punti di forza, come di debolezza; i clienti affezionati possono essere tentati di dare fiducia o provare qualcosa di diverso; la forza vendita può sentirsi frastornata dal nuovo corso; clienti ed aree dichiarati/e (seppure in modo implicito) non più strategici/che vengono abbandonati/e.
Ma non dubitate: a Napoleone che minacciava di distruggere la Chiesa, il Cardinale Ercole Consalvi, segretario di Stato di Pio VII, rispondeva «Non ci riuscirà, maestà. Non ci siamo riusciti neanche noi».

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