lunedì 28 dicembre 2015

Chi rompe, paga nel mondo delle banche internazionali; quelle italiane, no.



Un estratto di questo articolo è stato pubblicato nella rubrica #IlGraffio su AdviseOnlyBlog il 28.12.2015


Secondo calcoli (parziali) le grandi banche internazionali (circa una dozzina, da JPMorganChase a Bank of America, Wells Fargo, Morgan Stanley, Barclays, UBS, Credit Suisse, HSBC, BNPParibas, RBS ed altre) hanno pagato multe di oltre 166,6 miliardi di dollari nel periodo 2009-2013 (fonte: CCP Research Foundation) per “chiudere” cause che coprivano reati come riciclaggio di denaro, evasione fiscale dei clienti statunitensi e manipolazione dei mercati (tassi LIBOR, oro e valute); una cifra che si confronta con i 700 miliardi di utili dell’intero sistema bancario USA nello periodo 2007-2014, secondo il Federal Deposit Insurance Corp. Nel 2014 si sono aggiunte multe per oltre 31 miliardi. I pagamenti delle multe vanno direttamente nelle casse dello stato USA (per la maggior parte). 
La regola è semplice ed applicata: “chi rompe, paga”; ed a pagare sono le banche, i suoi amministratori, ed ad incassare sono le autorità; a queste multe, si aggiungono i costi derivanti dalle risoluzione delle cause avanzate dai singoli clienti, quando ritengono di essere stati “raggirati” (spesso, attraverso “class action”).

Le banche che hanno messo “mano al portafoglio” includono Bank of America, che ha pagato 58 miliardi, JPMorganChase (31,3 miliardi, di cui 13 miliardi per “miscondut” nella gestione di prodotti strutturati sui mutui ipotecari), Citigroup (12,8 miliardi, di cui 7 miliardi sempre per prodotti strutturati sui mutui ipotecari), Wells Fargo (9,7 miliardi). 70 CEO e decine altri “top manager” sono stati indagati dalla SEC (l’autorità di controllo dei mercati, che opera in modo assai più “pregnante” dell’equivalente italiano Consob), perseguiti e condannati a pene pecuniarie (la SEC ha indicato la cifra di 3,6 miliardi) ed a misure di restrizione personale, incluso il carcere in alcuni casi.

Nel caso specifico della detenzione illegale di denaro all’estero o nella sua mancata dichiarazione alle autorità, in USA è prevista una “multa” che varia dal 27,5% al 50% della somma non dichiarata (una misura multipla di quella applicata nei numerosi e ripetuti “condoni” italici); le banche che in passato hanno consentito pratiche illegali, con tali previsioni di multe (per sé e per i clienti) si sono rapidamente attivate per riportare a normalità le numerose anomalie: ad esempio, nel corso del 2015 sinora 64 banche svizzere hanno acconsentito a pagare 742 milioni  di “penalty” concordate con le autorità USA per violazioni di legge fiscali sui conti di cittadini statunitensi.


In tutti i casi, nell’accettare il pagamento delle multe è prassi che le banche optino per una parziale ammissione delle loro responsabilità (una sorta di “conscience washing”) addivenendo ad un “onorevole compromesso” con le autorità USA, salvando così reputazione e licenza bancaria.


La realtà è diversa nel BelPaese, dove le banche non sono state sinora chiamate a render conto di situazioni “mal gestite” e contrarie alle leggi, agli usi, alle “buone maniere”; e lo stesso è accaduto con gli amministratori delle banche, nella grande maggioranza dei casi. Casi recenti (ma di lunga prassi) balzati agli onori della cronaca ne sono specchio impietoso.


I lettori potranno fare confronti, sempre impari, fra i grandi “player” internazionali ed i modesti comprimari italiani e fra le norme (per quanto imperfette, ma almeno là le si applica con adeguato rigore) degli USA e le norme distrattamente dimenticate e bistrattate nei rapporti tardivi e lacunosi di improvvisati ispettori delle autorità di (modesto e forse strabico) controllo.




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