mercoledì 9 dicembre 2015

Il treno corre veloce sui binari verso la privatizzazione?



Un estratto di questo articolo è stato pubblicato nella rubrica #IlGraffio su AdviseOnlyBlog in data  9.12.2015.




Il governo italiano ha annunciato la prossima “privatizzazione” delle Ferrovie dello Sato; ma che cosa sono oggi le Ferrovie? Le attività che svolgono sono “privatizzabili”? Quella annunciata è una vera privatizzazione? Quali sono i suoi concorrenti? Quale posizione di mercato ha oggi, ed avrà domani, una Ferrovie “privatizzata”?





La storia delle Ferrovie



Partiamo con una breve sintesi della sua storia: nata nel 1905 all’epoca della nazionalizzazione delle ferrovie esistenti in Italia, poi Azienda Autonoma sotto il controllo del Ministero dei Trasporti, in seguito ente pubblico economico, il 12 agosto 1992 le Ferrovie dello Stato divennero società per azioni posseduta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (oggi, MEF). In conseguenza delle norme europee che prevedevano la separazione fra infrastrutture e gestione della rete, se ne avviò un processo di ristrutturazione che nel dicembre 2000 si sostanziò nella creazione di una holding (Ferrovia dello Stato Spa – FS) e di società operative, le più note Trenitalia per il trasporto di merci e passeggeri (posseduta al 100%), e Rete Ferroviaria Italiana – RFI per la rete e le stazioni (posseduta al 100%; in seguito, le 13 più importanti confluirono in Grandi Stazioni, oggi 59.99% di FS). In FS coesistono 2 nature che ne fanno un animale “contro natura”: proprietà della rete e concedente la rete in gestione operativa (RFI); concessionario che gestisce il traffico passeggeri e merci (Trenitalia).



Quindi: oggi il MEF possiede la totalità di FS (holding), che a sua volta possiede la società proprietaria della rete (RFI, al 100%; inclusa la linea ad alta velocità, a suo tempo in TAV), la società di gestione passeggeri e merci (Trenitalia, al 100%), una società di ingegneria ferroviaria (Italferr, al 100%), il 59.99% di Grandi Stazioni, partecipazioni italiane ed estere (Francia, Germania, Rep. Ceca, Romania, Serbia, Montenegro, Serbia, Polonia, Africa, Asia, America del Sud) operanti nel trasporto sia ferroviario che su gomma. Accanto alla “filiera FS” esiste una Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria (ANSF) che sotto il controllo del Ministero delle Infrastrutture si occupa di definire il riordino del quadro normativo in materia di sicurezza della circolazione ferroviaria, verificare l’applicazione delle norme adottate, validare processi autorizzativi e omologativi di sistemi, sottosistemi e componenti, rilasciare i certificati di sicurezza alle Imprese Ferroviarie e le autorizzazioni di sicurezza ai Gestori dell’Infrastruttura.
Nel trasporto passeggeri e merci si è avviata una timida concorrenza, oggi rappresentata da NTV, Deutsche Bahn, SNCF, Trenord (che opera in regime di concessione esclusiva nell’hinterland milanese).



Che cosa fa e quanto vale FS?




16.723 km di strade ferrate, dove i gestori terzi utilizzano la rete nazionale per il 15.1% della sua capacità (in particolare, operatori di alta velocità); 69.347 dipendenti (erano 71.930 nel 2012) il cui costo è il 47% dei Ricavi, che sono previsti in 8.500 milioni di euro (stima 2015) in aumento rispetto ai 8.390 milioni del 2014; risultato netto 2014 pari a 303 milioni, con una previsione di 500 milioni nel 2015. Gli investimenti sono costantemente diminuiti fra il 2007 (quando furono 5.600 milioni) ed il 2012 (2.700 milioni), cresciuti a 2.800 nel 2013 e 2.900 nel 2014, in aumento nel 2015 (3.400 milioni) e nelle previsioni 2016-2017 (totali 8.600 milioni). Il capitale investito netto di FS è di circa 47.000 milioni, di cui 30.500 milioni rappresentato da terreni, fabbricati, infrastrutture ferroviarie e portuali; nel bilancio non sono specificati i valori di ammortamento di tali “asset”. L’EBITDA dei primi 6 mesi del 2015 è stato di 948 milioni (1.027 nel primo semestre 2014); i mezzi propri (capitale e riserve) erano 37.836 milioni, con un indebitamento netto di 7.966 milioni. I numeri da soli non riescono a rappresentare quanto “pesi” FS nell’economia nazionale, il valore delle attività connesse (dai posti di lavoro diretti a quelli indiretti, ai servizi collegati alla movimentazione, et alia), quante risorse essa abbia assorbito negli anni: secondo uno studio del think tank IBL “La spesa pubblica ferroviaria dell’Italia nei 21 anni trascorsi dalla trasformazione di FS in società per azioni (1992-2012) è stata enorme: 207,7 miliardi di euro, di cui 84,8 di parte corrente e 122,8 in conto capitale, ricostruiti sommando i dati storici, senza alcuna rivalutazione monetaria”; si tratta di trasferimenti fatti dalle casse dello stato alle Ferrovie, in varie fasi e con modalità diverse.

FS è un “animale” complesso, con diverse anime:

(1) è proprietario della rete ferroviaria (RFI), che viene data in concessione (a lungo termine) al “carrier” Trenitalia sia per la rete ad alta velocità che per quella a medio e lungo raggio e regionale; i “carrier” che operano nell’alta velocità (NTV) e nel medio e lungo raggio (operatori esteri presenti anche in Italia, operatori minori) operano sulla base di accordi di concessione, a durata variabile; gli investimenti sulla rete (ordinari, straordinari, nuove reti) sono a carico di RFI; a fronte di tali concessioni, FS incassa annualmente circa 2.400 milioni, sia da Trenitalia che da terzi (stima 2015: 1.300 milioni);

(2) è gestore della attività di trasporto passeggeri, sia ad alta velocità (ex-TAV, ora in Trenitalia), che a medio e lungo raggio;

(3) è gestore del servizio di trasporto regionale, sulla base di accordi di durata variabile con le singole regioni, che contribuiscono al costo del servizio con trasferimenti finanziari concordati fra le parti, sula base di specifiche Convenzioni e relativi Contratti di Servizio (un servizio che copre i c.d. “pendolari”); FS riceve contributi diretti dallo stato per servizi resi in regime di sussidiarietà e dalle regioni per il servizio passeggeri reso localmente, storicamente intorno ai 2.000 milioni annui complessivi;

(4) opera nel trasporto merci su rotaia, mare e gomma (Trenitalia ed altre partecipate).

La valutazione di FS si presenta complessa, come in altri casi di grandi operatori nei servizi di pubblica utilità, come Poste (dove il governo ha preferito mantenere l’unitarietà delle varie attività, aprendo il capitale a terzi sino al 40% circa) ed Enel (dove si è optato per la separazione fra rete infrastrutturale, conferita in Terna, e produzione elettrica); il mantenimento in una unica entità, a nostro avviso, costituisce un freno alla concorrenza “on a level playing field” dove tutti gli operatori (collegati al concessionario, come Trenitalia, e non) usano la infrastruttura ferroviaria pagandone l’utilizzo con le stesse regole e modalità.

Una privatizzazione, a nostro avviso, ha una logica laddove si separino infrastruttura (che potrebbe restare a maggioranza pubblica, come nel caso Terna sopra citato) e gestione della rete, che operasse in regime di concorrenza con soggetti terzi, nel trasporto passeggeri ad alta velocità e medio e lungo raggio, e nel trasporto merci. I relativi canoni di affitto (concessione) andrebbero parametrati su chiari criteri, tenendo conto dell’effettivo valore della rete, degli investimenti previsti, della disponibilità di “slot” orari (ad esempio, canoni superiori per l’utilizzo in ore di picco, e viceversa).

Aprendo il capitale di FS intesa come un un “unicum”, i possibili investitori si trovano dinanzi ad un triplice evidente problema:

(1) identificare i “comparable” con cui valutare la proposta di partecipare all’IPO;

(2) conoscere in dettaglio il “Piano industriale”, settore di attività per settore di attività, di FS per i prossimi 3-5 anni, con chiarezza sui punti di forza, di debolezza, sulle previsioni di sviluppo del fatturato e di redditività per singola attività, di investimenti richiesti, così da comprendere la redditività attesa e prospettica dell’investimento. A maggior ragione in una operazione che non è una privatizzazione, ma solo l’apertura del capitale a soggetti terzi che resteranno in minoranza con la mano pubblica al comando;

(3) la assenza di una preventiva liberalizzazione del settore.

I futuri investitori dovranno quindi domandarsi in quale parte la redditività della società sia dovuta effettivamente alla capacità di stare sul mercato e quale ai sussidi statali (trasferimenti dalle casse dello stato, integrazioni di tariffe da parte delle regioni). E la risposta non potrà essere un generico “lavoriamo per trasportarvi nel futuro”.

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