lunedì 14 dicembre 2015

Pesca selvaggia.



Nel mondo, circa 2 miliardi di persone dipendono dal mare e dal consumo del pesce per soddisfare il loro fabbisogno proteico; il consumo di pesce sta aumentando nel mondo, con la Cina che sta raddoppiando il suo consumo ogni 10 anni. Il pesce fornisce attualmente il 40% delle proteine (animali e vegetali) consumate nel Terzo Mondo. 
La situazione è in rapida evoluzione: i ¾ della popolazione mondiale vive entro 100 chilometri dalle coste, e questo favorisce un consumo crescente di pesce, sia d’altura che da allevamento. 
La disponibilità di pesce d’altura e selvatico diminuisce costantemente e rapidamente, a causa della crescente attività di pesca, che causa la riduzione, ed in alcuni casi l’estinzione, di molte specie (e.g., tonno atlantico pinna azzurra, pesce spada atlantico, aringa del Mare del Nord, nasello argentino, ippoglosso atlantico). 
L’acquicoltura costituisce quindi da un lato una fonte addizionale di pescato, dall’altro una serie di problemi evidenti, dalla sua scarsa efficienza (in alcuni casi per ottenere un chilo di pesce allevato ne servono 20 di pesce selvatico di minore pregio e misura), alla presenza di tossine che ne limitano la qualità, al rischio di “inquinamento” genetico in caso di incrocio con specie capaci di sopravvivere in mare aperto (come il salmone allevato, che ha una capacità di sopravvivere in mare aperto 50 volte inferiore al salmone selvatico), al rischio di inquinamento ed eutrofizzazione causato da sostanze additive utilizzate nell’acquicoltura.

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