lunedì 14 dicembre 2015

Nel cielo sopra Berlino il ponte aereo ronzava senza interruzione.



“” Il blocco di Berlino reggeva ancora. (…) fu strano trovarsi in prigione dentro questa più libera e meno confinata tra le capitali. Fiumi e laghi la attraversano, e c’è molto terreno bagnato e sabbioso su cui non è prudente costruire, donde brughiere e pinete e boschi di betulle e bei campi alluvionali ben dentro i limiti della città. Ma adesso era una prigione, la più grande prigione mai conosciuta, con mura che si alzavano fino al cielo e che erano spesse quanto tutta la circostante Zona Sovietica. Tutti a Berlino erano prigionieri. Nessuno era libero, nemmeno coloro che dicevano di essere i secondini. I berlinesi erano prigionieri perché erano stati vinti. Gli alleati erano prigionieri perché erano i vincitori. Gli americani non potevano andarsene perché l’Unione Sovietica non prendesse il loro ritiro come un’ammissione della loro volontà di cedere loro tutto il mondo per restarsene a casa in pace; e a un equivoco simile sarebbe ben potuta scoppiare una Terza Guerra Mondiale. Gli inglesi non potevano lasciare Berlino perché gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica non prendessero la loro ritirata per un’ammissione di essere un popolo in bancarotta e senza più potere: equivoco che anch’esso avrebbe potuto accelerare lo scoppio di una Terza Guerra Mondiale. I francesi non potevano lasciare Berlino perché il mondo non traesse le sue conclusioni sullo stato di schiavitù in cui erano caduti nel 1940, e li considerassero privi di potere.

Anche i russi sono prigionieri; il loro era il più profondo grado di cattività. Non potevano lasciare Berlino senza abbandonare quella che allora era la sola idea russa: occupare qualsiasi paese in cui potevano mandare l’Armata Rossa a cooperare col locale partito comunista, per quanto la popolazione potesse detestarli, e quindi imporre uno Stato di polizia col quale indurre in tali paesi una parvenza di soddisfazione che avrebbe reso difficile alle democrazie occidentali trovare sostegno morale se avessero tentato di scacciarli. I russi dovevano pertanto rimanere a Berlino e far finta di trovar facile amministrare il loro Settore, allo stesso tempo facendo del loro meglio per scacciare gli alleati. Perché nelle loro libere elezioni gli abitanti di quel Settore votavano ostinatamente contro il comunismo, e questa dimostrazione di scontento si sarebbe potuta sopprimere, se gli alleati avessero abbandonato il controllo quadripartito della città e non ci fosse più bisogno di libere elezioni.

Nell’estate del 1949 i russi lavoravano al compito di scalzare gli alleati con tutta quella particolare rispettosità che era il timbro e il sigillo di Stalin. Un anno prima si erano rifiutati si collaborare con gli inglesi, gli americano e i francesi nella riforma valutaria, benché questo fosse evidentemente necessario, perché la valuta ufficiale era ancora il Reichmark di Hitler, che da molto tempo prima della disfatta era stato il figlio partenogenito di stamperie senza alcuna corrispondenza nelle riserve auree. Suscitarono una serie di piccole scaramucce sul nuovo Deutschmark e procedettero a usare il potere che la Conferenza di Potsdam aveva dato loro collocando Berlino nel cuore della Zona Sovietica. Nel giugno 1949 avevano chiuso tutte le comunicazioni via terra tra la Germania Occidentale e Berlino. La loro speranza era che questo infliggesse ai ettori controllati dagli alleati occidentali, che per il loro importante commercio estero si appoggiavano alla Germania Occidentale, privazioni tali che i berlinesi non avrebbero voluto che restassero. Questa minaccia fu sventata da quel grande atto di genio, il ponte aereo, che rifornì i bisogni essenziali della città al costo di centomila sterline al giorno, e da un bando sull’esportazione di tutte e merci dalla Germania Occidentale alla Zona Sovietica nella Germania Orientale. Nel maggio 1949 questo bando aveva ridotto la Germania Orientale sull’orlo del collasso economico, e i russi, con gran fanfara alla radio e nei cinegiornali, consentirono ai treni, alle automobili e alle chiatte dei canali di attraversare la loro Zona fino a Berlino.

Ma non appena i russi ebbero i beni di cui necessitavano e furono salvati dal disastro amministrativo, cominciarono a barare. Accadde che un gran numero di ferrovieri nella Zona Sovietica scioperassero, avvenimento che sorprese sinceramente l’Esercito Rosso e i commissari, dato che nell’Unione Sovietica gli scioperi non sono consentiti. Ma i russi girarono lo sciopero a loro vantaggio e si rifiutarono di farlo cessare, perché fino a quando continuava non si sarebbe potuta trasportare nessuna merce a o da Berlino,  e le autorità sovietiche avrebbero potuto sostenere che non stavano imponendo un blocco. Il responsabile del fermo era il sindacato dei ferrovieri Tedeschi. Questo espediente fu molto stalinista. Fece vedere perché Lenin, e il partito nel suo insieme, non avevano mai stimato molto Stalin nei primi tempi. Infatti il blocco era incompleto. Non aveva tenuto conto delle automobili e delle chiatte dei canali, che dovevano essere respinte da guardie sovietiche che chiedevano documenti di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima, e questo rivelò anche alle mentalità più ingenue la presenza di un elemento pretestuoso.

Così nell’estate del 1949 il piccolo blocco era in funzione. Nel cielo sopra Berlino il ponte aereo ronzava senza interruzione, anche se a terra era molto trovare parti della città ch sembravano lontanissime dal subbuglio, e anche dalla vita.””



(Rebecca West, “Serra con ciclamini”, 1955, prima ed. italiana 2015, pagg. 118-121)

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