mercoledì 30 dicembre 2015

Dall'Arsenale al Carnevale.



“” L’Italia è per certi aspetti un caso unico nel panorama europeo. Nel Medioevo, fra il XII e il XIV secolo, fu all’avanguardia del progresso non solo politico, sociale ed economico, ma anche tecnologico. (…) una fucina di invenzioni, di applicazioni e di trasferimenti di know-how (diremmo oggi) senza uguali in quell’epoca. Fra le più importanti innovazioni vi furono la gualchiera, cioè il mulino ad acqua per la follatura della lana, il filatoio a ruota, il telaio orizzontale, il filatoio idraulico per la seta. Nella navigazione gli italiani delle Repubbliche marinare furono fra i primi ad utilizzare la bussola, il timone di poppa (…), mentre Leonardo da Vinci progettava le “chiuse” per creare reti più estese di canali interni, superando i dislivelli del terreno. Per non parlare del contributo decisivo che, più tardi, italiani come Galileo Galilei dettero alla nascita della scienza in senso moderno, cioè del metodo scientifico basato sull’osservazione, la sperimentazione e la misura. (…) 
Eppure proprio mentre in Gran Bretagna, nel XVIII secolo, la rivoluzione industriale stava muovendo i primi passi, l’Italia aveva cominciato la sua “carriera di paese sottosviluppato d’Europa”. Cos’era successo? Perché l’Italia era passata, nel volgere di pochi secoli, da paese economicamente e tecnologicamente avanzato a paese sottosviluppato? Perché invece di lanciarsi nell’industrializzazione sulla scia di altri paesi europei, a cominciare dalla fine del Cinquecento, andò incontro a un’involuzione che alcuni studiosi hanno addirittura definito, in certe regioni, come un processo di “rifeudalizzazione” e di ruralizzazione di ritorno? (…) Per spiegare il declino dell’Italia a partire dal Cinquecento si è sottolineata l’importanza epocale della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492 e quindi lo spostarsi del baricentro politico ed economico dal Mediterraneo all’Oceano Atlantico. 
Ma l’apparente semplicità della spiegazione “americana” si rivela una trappola: infatti, dopo la scoperta di Colombo, il baricentro rimase per secoli l’Europa, ed è qui che l’Italia perse la sua posizione di avanguardia. 
Sono state proposte altre ipotesi più convincenti, tra cui una è particolarmente suggestiva: il successo catastrofico. Sarebbero stati proprio lo straordinario successo e la forza innovativa delle istituzioni italiane del Medioevo (…) a trasformarsi, nei secoli, in una zavorra sempre più pesante e insostenibile. In altre parole, il successo portò alla cristallizzazione  di istituzioni e comportamenti all’inizio vincenti, alla difesa di una tradizione un tempo funzionale, all’incapacità di adattarsi alle nuove epoche, alle nuove domande, ai nuovi gusti e all’emergere di nuove sfide. 
Quella che era stata una vera rivoluzione si trasformò  in conservazione e alla fine in sclerosi. La ricetta del successo in un’epoca divenne la ricetta del fallimento in un’altra. A tutto vantaggio dei concorrenti olandesi e inglesi che seppero interpretare i tempi cambiati e organizzare nuove reti commerciali e nuovi tipi di manifatture (soprattutto tessili), forse meno raffinate ma a costi più contenuto e che rispondevano a una domanda di strati sempre più vasti. 
Persino le città, eredi dei comuni medievali (…), finirono per diventare un ostacolo a ulteriori sviluppi. (…) Con un territorio limitato e una popolazione ristretta, le tradizioni cittadine frammentarono il potenziale mercato e quindi non si ebbe una domanda abbastanza potente da stimolare l’ulteriore sviluppo economico. (…) 
Un’altra ipotesi riguarda la concentrazione della ricchezza nelle mani di una ristretta minoranza, con una larghissima maggioranza in miseria. (…) 
Vi sono altre ipotesi che individuano in un’agricoltura arretrata, poco elastica e incapace di rispondere – con un aumento adeguato della produzione – a una domanda crescente, la causa del mancato sviluppo. (…) 
Forse nessuna vicenda storica riesce a esemplificare meglio di quella della Repubblica marinara di Venezia il temibile meccanismo del successo catastrofico e del declino. (…) Uno dei principali segreti della stupefacente ascesa di Venezia, una repubblica di mercati e marinai, e del suo dominio secolare sui traffici commerciali del Mediterraneo, fu un’imbarcazione, sia da guerra che commerciale (…), ispirata all’antica trireme greca e chiamata galea o galera. Una nave lunga circa 40-45 metri e larga 5 o 6, dove trovavano posto quasi 150 rematori (i galeotti) che riuscivano a spingerla fino ad una velocità di 7 nodi, con la possibilità di mantenere una media, per diverse ore, sui 4 nodi. Velocità uniche nel mondo della marineria medievale. (…) Questa micidiale arma militare era anche un efficace mezzo commerciale. Le stive della galea non erano capienti, ma le merci trasportate, le famose spezie (…) e la seta grezza (poi tessuta nelle manifatture veneziane), pur pesando poco e occupando uno spazio ridotto, avevano un valore enorme. A partire dal XIII secolo, e con successivi ingrandimenti, l’Arsenale veneziano divenne il più grande complesso “industriale” dell’epoca, con i suoi circa 3000 artigiani e capimastri (gli arsenalotti) in grado di sfornare centinaia d galee ogni anni. Difeso da mura alte dieci metri che proteggevano il segreto delle tecniche di costruzione, fu il cuore della potenza militare e commerciale della Serenissima. Una potenza che venne impiegata, senza scrupoli, per distruggere i concorrenti nei traffici del Mediterraneo, come Costantinopoli. (…) 
Poi lentamente le cose cambiarono. 
Nell’agosto del 1485 un convoglio di galee veneziane in navigazione nell’Atlantico, lungo le coste della Bretagna, fu attaccato da una flotta francese. Dopo una cruenta battaglia, nella quale persero la vita circa 100 veneziani, il convoglio e le sue mercanzie vennero catturati. Fu il segnale che il mondo stava cambiando. 
La navigazione oceanica, la scoperta dell’America, ma soprattutto la circumnavigazione dell’Africa e di Capo di Buona Speranza aprirono ai portoghesi (oltre che alle potenze dell’Europa del Nord come olandesi e inglesi) la via delle spezie, un tempo monopolio dei veneziani. A queste nuove sfide Venezia non riuscirà a rispondere neppure nel Mediterraneo, dove presto a spadroneggiare saranno le nuove navi delle emergenti potenze europee. L’introduzione della polvere da sparo e di armi inedite, fra le quali il cannone, dettero il colpo di grazia alla galea veneziana. (…) L’Arsenale, il complesso “militare-industriale” della Serenissima, non riuscirà a impadronirsi delle tecniche e delle innovazioni messe a punto dalle emergenti potenze del mare (…) e a riconvertirsi. Costruire un tipo di imbarcazione radicalmente nuovo, “tradendo”, in un certo senso, la formula che per secoli aveva avuto tanto successo, cioè la galea, si rivelò impossibile per i veneziani. Il declino come potenza marinara, a partire dal XVI secolo, portò Venezia a trasformarsi in un parco di divertimenti e in un’attrazione turistica. (…) 
Il successo catastrofico: dall’Arsenale al Carnevale. 
Come attrazione turistica Venezia presentava tuttavia diversi inconvenienti, comuni a molte altre zone del nostro paese. 
La sporcizia della città è “una delle cose d’Italia che più disturba lo straniero”: così si esprimeva, nel Viaggio in Italia,  il grande poeta e drammaturgo tedesco Johann Wolfgang Goethe alla fine del Settecento. (…) 
Come altri paesi europei, l’Italia venne colpita dal colera, che con le sue ondate più devastanti del 1835-37, 1854-55, 1865-67 e con altre minori, fece centinaia di migliaia di vittime. Ma nessuna risposta urbanistica paragonabile a quelle che abbiamo visto a Parigi o a Londra venne realizzata.””



Lorenzo Pinna, Autoritratto dell’immondizia, pagg. 139-147. 2011.

Nessun commento:

Posta un commento