domenica 27 dicembre 2015

L'uomo romano: l'artigiano.



“” Nell’antichità romana il reperimento di manodopera qualificata rappresenta un problema costante. (…) la manodopera specializzata scarseggiava anche in molti mestieri più semplici. Di norma, l’apprendistato di un artigiano avveniva con lentezza, sotto la guida di un maestro. Ma quando, al momento delle grandi conquiste della fine della Repubblica, cominciarono ad affluire a Roma enormi masse di schiavi senza alcuna qualifica, o utilizzati per compiti diversi da quelli in cui erano esperti, mentre i laboratori medi e grandi si moltiplicavano e il contatto tra maestro e apprendista si allentava o addirittura veniva a perdersi, allora era inevitabile che si presentasse il problema della formazione della manodopera. (…) (Vari) fattori, negli ultimi anni della Repubblica e poi sotto l’Impero, conducono a una parcellizzazione degli incarichi che ha pochi equivalenti nella storia mondiale del lavoro. Conosciamo non meno di 160 diversi mestieri esistenti nella Roma antica, menzionati da testi o iscrizioni (225 se si considera l’insieme dell’Occidente romano); li possiamo paragonare con le corrispondenti cifre di 101 e di 99 diversi mestieri, relative a quegli importanti centri dell’artigianato che furono la Parigi del XIII secolo e la Firenze del XV. (…). 
Economizzare manodopera grazie alle macchine non è nello spirito dei tempi (…). Tocchiamo qui uno dei vari aspetti del rifiuto del progresso tecnico di cui è stata accusata l’antichità classica (…). Certamente vi è la tendenza, specialmente da parte dello stato, a favorire il pieno impiego, anzi il superimpiego, a spese degli investimenti e della redditività. Quando un inventore presentò a Vespasiano una macchina che avrebbe permesso di issare con poca spesa le colonne sul Campidoglio, l’imperatore lo ricompensò abbondantemente, ma rifiutò la sua offerta sostenendo che “”dovevano lasciarlo sfamare il popolo minuto”” (sineret se plebiculam pascere). (…). 
E’ incontestabile che l’agricoltura era nell’antichità la sola attività economica davvero fondamentale: a essa si doveva la sussistenza degli uomini, che è poi quello che conta. E’ altrettanto vero che gli artigiani lavoravano in buona parte per l’agricoltura, alla quale fornivano utensili, attrezzature, contenitori di ogni genere ed edifici, e di cui trasformavano i prodotti. E’ vero infine che gli artigiani rappresentavano una piccola minoranza dell’intera popolazione: dalle informazioni contenute in un papiro riguardante un borgo dell’Egitto romano, possiamo desumere che gli artigiani vi costituivano il 9,5% dei lavoratori, contro il 68% degli addetti all’agricoltura. (…). 
Interrogarsi sul livello di vita dell’artigiano significa necessariamente paragonare i suoi introiti con il costo delle derrate principali. Siamo molto male attrezzati a questo scopo, perché l’antichità ci ha lasciato pochissimi dati quantitativi. A Pompei, dove per una famiglia media il costo del pane quotidiano oscilla fra i quattro e gli otto assi, un secchio di bronzo si vende a nove assi, mentre modesti oggetti di terracotta (una lucerna, un piatto, o un vaso per cuocere la zuppa) si vendono a un solo asse ciascuno. Se si tiene conto dei costi di produzione, i guadagni dell’artigiano sono decisamente modesti in rapporto al prezzo di acquisto del necessario. (…) Sotto Diocleziano una tunica di lino della migliore qualità costa 10.000 denari, mentre il più qualificato fra i tessitori è pagato, vitto a parte, 40 denari per un giorno di lavoro effettivo (…). Un operaio di una fabbrica di laterizi, sempre vitto a parte, viene pagato due denari ogni quattro mattoni prodotti, che saranno venduti a circa venticinque denari. Il meno caro dei mantelli di lana grezza costa circa 33 salari giornalieri di un tessitore di questa medesima lana, e una dalmatica di seta può costare sino a una ventina d’anni di salario di un tessitore di quella stoffa. Si vedono dunque i considerevoli guadagni che il datore di lavoro può ricavare dall’attività manifatturiera, ma anche quanto sia debole il potere di acquisto degli operai. (…) 
Dai Romani non ci si può certo aspettare che tessano lodi della condizione artigianale o che invidino il destino degli artigiani. (…). Relegati tra i parenti poveri della società, gli artigiani reagiscono a volte riaffermando il loro status ed i loro meriti, a volte con inibizione e riservatezza. “”



L’uomo romano, L’artigiano, pagg. 247-257. 1989.

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