domenica 13 dicembre 2015

I campi di transito continuarono a puzzare



(a pochi anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale)     “”C’erano molti tedeschi così, che dividevano tutto quello che avevano in uno spirito non meno nobile di quello mai manifestato in Inghilterra. Però la verità era spesso proprio come la vedeva lo straniero: molti tedeschi erano di un egoismo brutale e si facevano largo con la forza verso la mangiatoia tra i loro confratelli più deboli. Peraltro quando si attraversava la Germania nel 1949 veniva fuori che molti tedeschi non appartenevano a nessuna delle due categorie. Questi credevano che dalla divisione deliberata delle cose non sarebbe uscito nulla di buono, nemmeno per coloro cui veniva dato quello che non si erano guadagnati. Credevano nella libera iniziativa. Pensavano che se la gente avesse fatto quello che voleva, mangiato quello che le piaceva, agito come le piaceva, e venduto quello che le piaceva, le leggi di domanda e offerta avrebbero funzionato in modo così sano che alla fine ogni cittadino avrebbe avuto una sostanziosa fetta di torta e nono ci sarebbe stato motivo perché nessuno dividesse alcunché con chicchessia. Era strano che sembrassero inerti ai visitatori, e che tanti inglesi e americani rimproverassero energicamente i loro governi dell’assenza di una politica in Germania; perché con ogni respiro l’intero popolo tedesco stava formulando una politica, e quella politica era di sviluppare la propria industria secondo le proprie teorie economiche del lassair-faire, senza lasciarsi impressionare dalla Stato assistenziale e dall’economia pianificata quale era di fatto impiantata in Gran Bretagna e che esisteva nelle fantasie di vari intellettuali americani. Era molto notevole fino a che punto i tedeschi non ne fossero impressionati.  (…)

D’altro canto, che accettassero l’idea di uno Stato assistenziale e un’economia pianificata era storicamente impossibile. Tanto per cominciare, il regime nazista aveva proclamato di essere uno Stato assistenziale e certamente aveva imposto un’economia pianificata; e tutto ciò aveva funzionato molto male. Inoltre, la stessa Commissione di Controllo Alleata stava imponendo alla Germania un’economia pianificata, e non senza inconvenienti. (…)

I tedeschi trovarono particolarmente irritante quando gli alleati non soltanto tentarono di imporre loro un’economia pianificata (come nel caso della riforma agraria, che nelle intenzioni degli alleati doveva prevedere che nessuna fattoria tedesca dovesse superare i 250 acri; cosa che viene ricordata ai funzionari della Commissione Alleata di Controllo): “”E voialtri signori”” disse il tedesco “”quali passi state compiendo per imporre un limite alle dimensioni delle tenute agricole nei vostri paesi?””. Parole analoghe furono pronunciate in un ufficio sulla Ruhr: “”Oh, davvero? Voi signori avete approvato la proporzione della rappresentanza degli operai nei comitati direttivi delle fabbriche e vorreste che questa proporzione fosse ancora aumentata? Be’, io per me non sono contrario. Ma non fareste meglio prima a rendere obbligatorio un sistema simile nei vostri paesi, e vedere come funziona?””. In tali occasioni si vide chiaramente che, perché un’occupazione sia piacevole, gli indigeni dei territori occupati dovrebbero portare l’anello al naso ed essere analfabeti. I tedeschi avevano passato troppo tempo col naso libero da anelli nelle pubblicazioni di sinistra inglesi e americane. (…)

Nel 1949 il solo scopo dello smantellamento, riconosciuto da entrambe le parti, era il ridimensionamento del potenziale bellico tedesco, e su questa base si continuò una lunga e degradante discussione nella quale non fu mai detto niente che qualsiasi persona assennata avrebbe mai potuto credere. (…)

Ma se vogliamo atteggiarci a moralisti, sarà meglio che prendiamo nota di quello che i tedeschi hanno fatto per togliere un fardello di colpa morale dalle nostre spalle. Questa colpa morale riguardava le persone presenti in Germania come profughi, espulsi e rifugiati. La colpa della presenza dei profughi ricadeva in primo luogo sui tedeschi, perché la maggior parte di costoro erano stati portati dai nazisti come schiavi operai; ma poi erano rimasti in Germania perché non erano comunisti, e Mr Churchill e i presidenti Roosevelt e Truman avevano imposto il comunismo ai loro paesi (dei profughi, ndr) senza consultarne gli abitanti. Poi c’erano gli espulsi, la cui presenza era totalmente dovuta agli alleati. Erano i gruppi di origine tedesca nei paesi dell’Europa orientale che la Conferenza di Potsdam aveva deciso di rimuovere dai luoghi dove i loro antenati vivevano da secoli e spedirli in Germania. C’erano poi i rifugiati della Zona Orientale della Germania, in fuga dall’inefficienza russa. A queste categorie appartenevano circa dieci milioni di persone. Molti dei rifugiati erano emigrati. La sorte di quelli che non avevano scelto o potuto emigrare era spesso terribile. (…)

Quello che successe in questi campi supera i limiti della normale immaginazione. (…)

Le sofferenze dei profughi, degli espulsi e dei rifugiati sono state un tremendo peso sulla coscienza degli alleati occidentali. Non avremmo dovuto consentire a noi stessi, mentre combattevamo una guerra giusta, di farci trasformare nel duplicato di un torpido Attila, di un Tamerlano al rallentatore, di un Ivan il Terribile balbuziente. (…)

I campi di transito continuarono a puzzare, l’esame preliminare continuò a richiedere delle settimane. E’ impossibile indovinare un periodo in cui ogni giorno più di mille tedeschi dell’Est non attraversassero le frontiere. Ma nei primi anni Cinquanta questa routine ricevette un’iniezione di speranza. Non c’era niente di simile al pieno impiego. C’era abbastanza disoccupazione da provocare un notevole quantitativo di sofferenza. Ma c’era abbastanza occupazione da mantenere la comunità solvibile e stabile. C’era l’offerta di tanti posti di lavoro, e un rifugiato capace aveva le stesse probabilità di ottenerne uno di un indigeno altrettanto capace della Germania Occidentale. I rifugiati stavano sufficientemente bene da smentire ogni timore di una loro influenza politica, cosa che nel 1946 molti avevano paventato. Alle elezioni non votarono né per l’estrema sinistra né per l’estrema destra, ma per gli stessi partiti che erano sostenuti dalla comunità indigena. Nondimeno è difficile capire come un’economia che non fosse speculativa e non frenata sarebbe potuta risultare sufficientemente flessibile da assorbire gli espulsi e i rifugiati e sollevare gli alleati da tanta parte della loro colpa. C’è da riflettere se si considera cosa sarebbe successo nella Gran Bretagna postbellica, che ha all’incirca la stessa popolazione della Germania Occidentale, se dieci milioni di persone fossero state scaricate nel paese (senza altri beni di quelli che si potevano portare dietro) e un milione e mezzo di queste avesse immediatamente cominciato a ricevere assegni di disoccupazione mentre gli altri entravano in concorrenza con i britannici nel mercato del lavoro. D’altro canto non è ipocrisia sostenere che la rigida economia britannica fosse concepita nella speranza idealistica che nessun uomo avrà bisogno, se i suoi fratelli lo possono aiutare. Ma sarebbe una disgustosa ipocrisia negare che la spregiudicata economia tedesca fu clemente con coloro che inglesi e americani avevano abbandonato. Qui, come tanto spesso in precedenza, vediamo che la storia non si preoccupa di indicare una morale.””



(Rebecca West, “Serra con ciclamini”, 1955, prima ed. italiana 2015, pagg. 95-112)

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